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Pastori e agnelli
Alla venerata memoria del card. Salvatore Pappalardo (+ 10 dicembre 2006) in occasione del quinto anniversario dalla sua morte. Una ricerca d’archivio di Giampiero Tre Re, materiali d’epoca e immagini in parte mai viste in Italia in un documentario esclusivo di TerradiNessuno Channel.
Categorie:Chiare Lettere, Chiesa e mafia, Cronache palermitane, Dialogo Chiesa-Mondo, Diritti dell'uomo, Sicilianità, Spiritualità, Teologia, Zibaldone
Tag:Antonio Fallico, Card. Dell'Acqua, Ernesto Ruffini, Francesco Michele Stabile, Giampiero Tre Re, Giovanni Paolo II, Gregorio Porcaro, Padre Pino Puglisi, Paolo VI, Pier Luigi Vigna, Pietro Magro, Pietro Valdo Panascia, Pino Daniele., Salvatore Pappalardo
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Giampiero Tre Re
(Palermo, 1959). Docente di filosofia, psicologia e scienze sociali, è dottore di ricerca in Diritti dell'Uomo presso l'Università di Palermo e licenziato in Teologia morale presso l'Università Gregoriana di Roma. Specialista di bioetica è autore di vari articoli e saggi tra cui Terra di nessuno. Bioetica dei diritti dell'embrione umano, Palermo 1999.
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Complimenti! Un ottimo documento video!
Contenuti interessanti e montaggio azzeccato che ne rende fluida la visione nonostante i suoi 14 minuti di durata.
Bravo!
Ma va, è che mi vuoi troppo bene, ammettilo.
Che ti voglia bene è un conto, a prescindere, ma che il video sia come ho detto, lo confermo. In genere appena vedo 7-8 minuti di durata di un video di youtube scappo o lo guardo in 2 tempi. Questo l’ho visto tutto d’un fiato. Ha tutto ciò che è necessario e nulla di superfluo.
Grazie, grazie
Ma tu hai conosciuto Pappalardo? Hai di lui qualche particolare ricordo?
Pappalardo? L’ho vidi una volta quando venne a visitare una vecchietta ammalata che abitava con la figlia, in una casa nello stesso pianerottolo del condominio della casa dei miei genitori. Avrò avuto 8-10, non so.
Mia madre fu informata della presenza del Cardinale, mi chiamò, e mi disse di seguirla. Io non ne avevo capito niente gli andai dietro quando, mi trovai di fronte, seduto in una poltrona nella stanza della vecchina, questa figura imponente vestita di porpora. Mia madre gli si inginocchiò davanti e gli baciò l’anello. Io non credo l’abbia fatto. Pappalardo mi guardò con sguardo severo ed incuriosito nello stesso tempo e… io me ne ritornai velocemente a casa mia. Tutto qui.
Nella scheda di Diego Buonsangue in cui si ripercorrono sommariamente i rapporti tra Chiesa e mafia Pietro Panascia lamenta il fatto che Giovanni Paolo II non fece alcun cenno contro la mafia durante la sua visita a Palermo nel 1982 (cfr. “Pastori e agnelli”, 9:00). Pur riconoscendo le ragioni del pastore valdese e l’alto valore simbolico che “mafia” avrebbe avuto sulle labbra di Giovanni Paolo II, occorre sottolineare che il Papa ebbe già allora parole di condanna indicando il fenomeno mafioso con molte espressioni equivalenti. Lo stesso termine “mafia” risuonò più di una volta nel corso di quella visita, per esempio nell’indirizzo di saluto del Card. Pappalardo al Pontefice, prima della solenne celebrazione alla Favorita, o nelle parole rivolte al Papa dal sig. Pietro La Mattina, operaio dei Cantieri Navali. Si può anzi affermare con certezza che fosse previsto che pure il Papa pronunciasse la parola “mafia”, se non fossero intervenuti dietro le quinte dei banali contrattempi, e forse anche sciocche gelosie nell’entourage di Pappalardo. Comunque sia, l’espressione “mafia” compare negli atti ufficiali della visita del 1982, nel discorso di congedo di Giovanni Paolo II, che riporteremo integralmente qui di seguito nei prossimi giorni.
Si deve invece osservare lo stile di Pappalardo: quanto siano controllate e quasi circospette le formule con le quali il Cardinale parla dei rapporti tra Chiesa e mafia, anche dopo l’uccisione di Puglisi. Confrontando i compassati discorsi del papa e di altri della prima visita in Sicilia del 1982 con il monito lanciato dal Pontefice contro la mafia nel 1993 nella Valle dei Templi, colpisce soprattutto la stridente diversità d’investimento emotivo. Segno, a mio parere, di una profonda maturazione avvenuta nel frattempo in Karol Wojtyla circa la pertinenza religiosa del fenomeno mafioso.
“…Sappiate costruire un futuro ed una società nuovi, […] in cui sia isolata e distrutta la ramificazione dell’atteggiamento mafioso di alcuni, operatori di manifestazioni aberranti di criminalità.
Cristo vi dà la speranza di partecipare a questa grande ricostruzione umana, sociale, morale, spirituale della vostra Sicilia! […] Sconfiggete il grigio disfattismo, l’individualismo egoista.
Siate annunciatori di un progetto globale di salvezza, della liberazione di tutti gli uomini e di tutto l’uomo dalla schiavitù del peccato e non solo dalle strutture ingiuste“.
Giovanni Paolo II ai giovani di Sicilia, Palermo 21.11.1982
Padre Pino Puglisi (il terzo da sinistra, seconda fila dal basso) alla visita di Giovanni Paolo II a Palermo, 21 novembre 1982.
(Fonte: Rivista della Chiesa palermitana, La visita del Papa in Sicilia, dicembre 1982, p. 71)
C’è come un filo di continuità che passa attraverso le visite papali in Sicilia del 1982 e del 1993, e questa continuità non è data esattamente da parole, discorsi o gesti immediatamente visibili, ma lega misteriosamente le figure sacerdotali di Padre Pino Puglisi e Giovanni Paolo II. Quando nel maggio del 1983 Wojtyla gridò agli uomini della mafia il suo “convertitevi”, per tutta risposta, nel settembre successivo, quegli stessi uomini assassinarono Puglisi.
“Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo”. Mentre, undici anni prima, nella chiesa cattedrale di Palermo, Padre Pino sentiva dire al Papa queste parole, nessuno dei due poteva certo sapere fino a che punto, e in maniera ancora più perfetta, l’uno avrebbe imitato l’altro nella testimonianza sacerdotale del dono di sé, in identità con Cristo, “fino alla fine”.
“La mistica identificazione “in persona Christi” […] è la nostra capitale ragion d’essere. Desidero oggi confermarvi, fortificarvi, radicarvi sempre più a fondo in quella sacra realtà, che costituisce l’essere del sacerdote. Come Gesù, busso alla porta del vostro cuore, amatissimi Confratelli, e, con tutta la forza di persuasione di cui sono capace, dico ad ognuno: sacerdote, sii ciò che sei; senza restrizioni, senza sottintesi, senza compromessi dinanzi a Dio e alla tua coscienza; prima di tutto. Ciò che sei per gratuito dono nell’ordine della grazia, siilo nella statura della tua personalità, nel modo di pensare e di amare. Abbi sempre e limpidamente il coraggio della verità del tuo sacerdozio. Nessuna ombra oscuri la luce che è in te. Nessuna deviazione ti allontani dalla struttura della tua sacralità. Nessun cenno di morte arresti la circolazione della vita, di cui sei depositario. […]
Il coraggio della santità dell’essere comporta il coraggio della santità del vivere.
E’ una questione di elementare coerenza, la quale, se può incontrare ripulse e incomprensione in settori della società, che ripongono ancora totale fiducia in concezioni di ispirazione materialistica, per noi è del tutto naturale.
Tutti nella Chiesa siamo chiamati alla santità. Il Concilio lo ha accuratamente illustrato nello splendido capitolo quinto della Lumen gentium, dedicato alla «universale vocazione alla santità nella Chiesa» (nn. 39-42).
I sacerdoti vi sono obbligati in modo peculiare, «poiché essi, che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l’Ordinazione, vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo Eterno Sacerdote» (Presbyterorum Ordinis, n. 12).
Nella fragilità della natura umana acquista un valore risolutivo l’impegno a rivestirsi di Cristo, con lo sforzo mai concluso di attuare in noi le sue potenzialità: « Induite Dominum lesum Christum» (Rm 13,14).
E’ un lavoro arduo e assiduo, di cui non si possono trovare che pallidi confronti nell’esperienza terrena, perché Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo. Lo stesso Apostolo Paolo non propone se stesso come esempio, se non in quanto egli si sforza di imitare Cristo: «Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 4,16). L’imponente schiera di confratelli sacerdoti, di cui la Chiesa ha riconosciuto l’eroicità delle virtù, ripete il medesimo appello, ed offre specchiati esempi delle vie e dei modi, con cui può essere appagata la tensione di imitare il Divino Modello. Sono modi e vie assai diversi, come diversi sono gli individui e le epoche. Quasi a confermare, se ve ne fosse bisogno, che nessun sacerdote, in nessuna circostanza, può ritenersi anche solo parzialmente esonerato dalle altezze di tale sublime chiamata. Essa implica la disponibilità non solo a rinnegare se stessi e addossarsi la croce, ma anche ad immolarsi, a fare della vita una Messa continua”.
(Giovanni Paolo II ai sacerdoti, Cattedrale di Palermo, 21.11.1982)
Giovanni Paolo II e Pino Puglisi, Castelgandolfo, agosto 1986
Giovanni Paolo II, IL PAPA AI GIOVANI
(Palermo 21.11.1982)
Carissimi!
1. Una delle prime parole, che ho pronunziato agli inizi del mio Pontificato, è stata una parola particolare di speranza nei giovani. Voi siete la mia speranza, la speranza della Chiesa e della Società!
Quella stessa parola, con gli stessi sentimenti di fiducia e di affetto di allora, vi ripeto quest’oggi, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, affidando a voi giovani di Palermo e dell’intera Sicilia, la speranza di un mondo rinnovato in Cristo, la consolazione di cui è piena la profezia di Isaia: «Dite agli smarriti di cuore, coraggio!» (ls 35,4).
Coraggio!
Il Papa conosce bene i vostri desideri, il vostro bisogno di autenticità, di giustizia, di amore, di lavoro. E conosce anche le inquietudini, le difficoltà, le ambiguità di questa vostra Terra, che, per la sua posizione storica e geografica, è punto di incontro e di convergenza tra Oriente ed Occidente e ponte verso i Paesi del Nord Africa; questa vostra Terra, ricca di tanti valori, eppure lacerata da tante contraddizioni.
Una realtà fatta insieme di progresso e di sottosviluppo; di impegno per la pace e di violenza assurda; di apprezzamento e di difesa per la vita e per la famiglia, ma anche di episodi di esplosione, di morte e di odio. Una realtà di benessere e situazioni di ingiustizia, di disoccupazione, di emigrazione, di lavoro minorile.
Contraddizioni, ambiguità, che voi avete denunciato ai vostri Vescovi. Ma ai vostri Vescovi avete anche manifestato la vostra volontà di rifiutare ogni ideologia alienante dell’uomo. Avete espresso l’istanza di partecipazione, di condivisione, di corresponsabilità, di creatività. Avete assunto l’amore a fronte dell’odio e della violenza. E tale amore voi praticate a favore dei poveri, dei deboli, degli handicappati, degli emarginati, degli anziani, dei diseredati.
Il Papa apprezza, conforta, rafforza questo vostro amore e, con il messaggio dei vostri Vescovi per la Pentecoste del 1979, vi ripete e proclama la grande verità: “E’ Cristo l’uomo nuovo, Colui che può dare significato alla vostra esistenza, risposta alle vostre domande”.
2. Cristo vi dà coraggio. Abbiate questa speranza in voi! La speranza che non delude (cfr. Rm 5,5). La speranza che vi salva dalla morte, dalla paura, dal peccato. La speranza che libera la storia dalla fatalità del male, dell’ingiustizia, della guerra. La speranza, che assegna un fine di risurrezione a tutti gli uomini e a tutto l’uomo!
Lo so. Conosco la triste realtà di un tempo; dei “carusi“ della vostra Terra, con le fragili spalle sotto la valanga dello zolfo. Ricordo, con profonda emozione, i bambini periti negli incidenti aerei di questa Città; i bambini morti nei paesi annientati dal terremoto del Belice. Ricordo anch’io la piccola “Cudduredda” , emersa dopo due giorni dalle pietre, quasi a simbolo della vostra Sicilia, del suo secolare, insopprimibile ed appassionato bisogno di sopravvivenza, di fortezza, di fede, che resiste a tutte le vicende di dolore e di morte. Bisogno di futuro.
E questo futuro è Cristo.
Abbiate coraggio! E’ Cristo la vostra speranza.
Mettetevi dalla parte di Cristo, cari giovani. E sarete dalla parte della speranza.
Non siete soli. Il Papa, che vi ama e vi benedice, è con voi!
3. E, poi, comunicate questa speranza agli altri!
Voi che siete qui presenti dite agli smarriti di cuore, specialmente mediante la testimonianza della vostra vita: coraggio! Soprattutto a quei giovani che, come ha scritto recentemente il vostro Arcivescovo di Palermo, crescono in ambienti di subcultura, di superstizione, di violenza, in balia dei rigurgiti della città, facile preda della corruzione, della violenza, della droga.
Per questi giovani siate disponibili al servizio, alla solidarietà, all’impegno concreto, tempestivo, efficace.
Insieme con loro, sappiate costruire un futuro ed una società nuovi, in cui ci sia giustizia e lavoro per tutti; la disoccupazione è la morte dei giovani. Un futuro ed una società nuovi, in cui non ci sia più la droga; la droga è il colpo di scure alle radici dell’essere. Un futuro ed una società nuovi, in cui non ci sia più né violenza né guerra. La pace è possibile; la pace non è un sogno, una utopia. Un futuro ed una società nuovi, in cui sia isolata e distrutta la ramificazione dell’atteggiamento mafioso di alcuni, operatori di manifestazioni aberranti di criminalità.
Cristo vi dà la speranza di partecipare a questa grande ricostruzione umana, sociale, morale, spirituale della vostra Sicilia! Non conformatevi a questo tempo (cfr. Rm 12,2). Cristo è il Dio della speranza, della novità, del futuro. La più insidiosa tentazione dei nostri giorni, la più sottile, è proprio quella della rinuncia alla speranza, alla definitiva rinascita dell’umanità. Cristo, che ha vinto la morte, vi dà fede, fantasia, forza sufficiente per caricare di speranza la vostra Sicilia!
Portate, comunicate a tutti la speranza, la gioia che dona la speranza! Sia la vostra una speranza tenace, diffusiva di fronte al fatalismo, alla disgregazione, all’omertà, alla emarginazione delittuosa, al crimine, che tanto sangue, tanti morti ha fatto sulle vostre strade, meritando l’aperta condanna morale ribadita anche recentemente dai vostri Vescovi, dei quali condivido pienamente l’ansia pastorale e il generoso impegno anche in questo campo.
Sconfiggete il grigio disfattismo, l’individualismo egoista.
Siate annunciatori di un progetto globale di salvezza, della liberazione di tutti gli uomini e di tutto l’uomo dalla schiavitù del peccato e non solo dalle strutture ingiuste.
Ma voi potete comunicare questa speranza agli altri, specialmente ai vostri coetanei – protesi alla ricerca dei valori autentici, ma spesso disorientati da concezioni di vita e di cultura lontane dal messaggio cristiano – se sarete capaci di testimoniare con la vita quelle certezze, che vi provengono dalla vostra adesione a Cristo, alla Chiesa; dal continuo e religioso ascolto della Parola di Dio, letta, meditata, studiata personalmente e comunitariamente; dall’assidua partecipazione ai Sacramenti, in particolare a quelli della Riconciliazione e dell’Eucaristia.
4. Ed infine, vivete e costruite questa speranza con la Chiesa!
Amate la Chiesa, i vostri Vescovi, i vostri Sacerdoti. Sappiate essere, con essi, strumenti del mistero della salvezza, testimoni e realizzatori delle Beatitudini di servizio, di umiltà, di povertà, di donazione!
La speranza del cristiano è testimonianza gioiosa di Chiesa, che annuncia la risurrezione e prepara questa risurrezione con coloro che piangono, che sono deboli, piccoli, poveri, emarginati, ma sui quali Dio, che ama ogni uomo, fa affidamento per spezzare l’arco di coloro che si credono forti (cfr. 1 Sam 2,4).
La speranza della Chiesa non esclude né disprezza la speranza terrena, ma riconoscendola limitata e parziale, la supera. Non cede alla tentazione della rassegnazione, al fallimento; ma lotta e rimuove le cause vere della disperazione del mondo.
Invocate da Cristo la speranza con la Chiesa.
E’ Lui che dà garanzia alla speranza, perché è Lui la nostra speranza (cfr. 1 Tm 1,1).
Quando guardate a voi stessi, al vostro mistero, alle vostre trepidazioni, ai vostri problemi, alle vostre incertezze, guardate a Lui.
Quando guardate agli altri, al loro dolore, alla loro reazione, alla loro stanchezza; quando immaginate il futuro della terra, guardate a Lui, a Cristo, “speranza della gloria” (Col 1,27).
E’ Lui la speranza che vince! E’ Lui, che vi chiama, giorno per giorno, a lavorare con tutte le vostre forze all’avvento del suo Regno eterno ed universale fra gli uomini: “regno – come proclama la Liturgia odierna – di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Praefatio).
Rispondete generosamente a questo invito di Cristo Re!
5. C’è un salmo molto bello, che dice così: “II Signore regna, esulti la terra, gioiscano le isole tutte!” (Sal 96; 97, 1). Ecco, io sono venuto qui, in questa Isola meravigliosa, in questa Sicilia “bedda”, per gioire insieme con voi, per acclamare con voi al Signore, che ci fa amare e sperare.
E la Madonna speranza nostra e fiducia nostra, Madre nostra e della Chiesa, raccolga tutti i sentimenti di amore e di gioia, che in questo momento sono nel vostro e nel mio cuore.
Voi siete il volto più vero di questa Isola che soffre, ma che ama, che crede, che annuncia, che costruisce la speranza.
Coraggio! Benedico in voi il futuro della vostra vita e della vostra terra di Sicilia!
semplicemente unico
Frammento dell’omelia del Card. Pappalardo ai funerali di G. Falcone e della sua scorta
Palermo, 25 maggio 1992, Chiesa di San Domenico
«Ai funerali di Puglisi, il cardinal Pappalardo disse: “fu ucciso perché era un vero prete”. In questo modo l’Arcivescovo mostrò di accettare il criterio valutativo teologale che il fariseo non volle riconoscere: la morte del profeta è un giudizio divino sul quale misurare l’autorevolezza di tutti i ministri.
Siamo in una Chiesa che non ha ancora neppure iniziato a interrogarsi sul significato teologico, sull’invito alla penitenza, implicito nel martirio di padre Pino».
Dal forum “Sull’elezione del nuovo vescovo ausiliare di Palermo”.