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Cristi tristi. Perché fallisce la nuova evangelizzazione

Nonostante l’impegno della Chiesa continua il processo di scristianizzazione della società europea. Anche in Italia, ancorché sia possibile constatare ad ogni occasione pubblica l’ostentata identità cristiana della generalità delle classi dirigenti, la stragrande maggioranza degli adulti iscritti all’anagrafe battesimale incarna nel privato una forma di cattolicesimo postcristiano che vive di una stentata identificazione con la dottrina magisteriale.
Di questi giorni è la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che dà ragione al ricorso di una cittadina italiana che chiedeva la rimozione dei crocifissi dalle aule delle scuole pubbliche in Italia. Non ritengo affatto cruciale la querelle dell’esposizione del simbolo della religione di Stato nei luoghi pubblici e nelle scuole. Si pensi quale rilevanza potrebbe avere una sentenza futura che ordinasse di fare scomparire le molte croci che fanno bella mostra di sé negli stemmi di comunità territoriali e nelle bandiere di molte laicissime nazioni europee.
La croce in classe è un po’ lo stereotipo di “brava gente” che gl’italiani si sono autoconferiti, concretizzato nella tangibilità di un segno. E’ piuttosto un’espressione d’italianità che di fede. Come opportunamente è stato rilevato, esso è politicamente innocuo, moralmente indifferente. Il crocifisso (inteso come effigie) d’ordinanza nei luoghi pubblici come l’immagine del presidente della Repubblica, o, come al tempo della sua introduzione obbligatoria, del Re e del Duce, non è né fuoco né spada, perciò non ha nessun particolare valore per la fede cristiana. Il cristianesimo ha i suoi veri simboli (la formula di fede, i sacramenti, le Scritture; la Chiesa vivente, in primo luogo luogo) e potrà fare tranquillamente a meno, per la propria sopravvivenza, dell’esibizione di questa suppellettile.
Duole solo dover osservare tutto questo agitarsi di tonache, che si percepisce più intenso nel presente come nel caso dell’ora di religione a scuola, piuttosto che nei confronti, ad esempio, delle nuove politiche italiane dei flussi immigratori, che hanno provocato l’estate scorsa un numero neppure determinabile di perdite in vite umane nel Mediterraneo. Ad ogni modo, la questione potrebbe ritenersi archiviabile, una volta avvertiti quelli che con troppa faciloneria hanno parlato dell’ennesima aggressione alle radici cristiane dell’Europa (ed all’occorrenza volessero scendere in piazza per difendere la causa, letteralmente, di due legnetti in croce) che, trattandosi della difesa di uno stereotipo, si troveranno nell’imbarazzante compagnia della parte più retriva e razzista della società italiana. Tuttavia, nonostante la parvitas materiae della questione, la guerra dei crocifissi trova una sua ragione nella scelta culturalista compiuta dai vescovi italiani nell’era Ruini, quando si trattò di trovare la via italiana alla nuova evangelizzazione a suo tempo lanciata da Wojtyla, per cui val la pena di spendere qui qualche parola. La vicenda delle reazioni ufficiali del mondo ecclesistico all’ordine di spogliare le scuole dei loro crocifissi è infatti indicativa anche di una certa mentalità che condiziona l’evangelizzazione in Italia. Il nocciolo della problematica della nuova evangelizzazione, infatti, che è spesso indicato in una dissoluzione di radici o d’identità cristiana, può anche essere visto, in maniera diametralmente opposta, come un eccesso di inculturazione del cristianesimo che si spinge, qui da noi, fino alla rinuncia di quest’ultimo al proprio ruolo di riserva critica nei confronti di ogni pretesa di assolutezza mondana.

Con “eccesso d’inculturazione” del cristianesimo intendo l’esito di una strategia di evangelizzazione che procede dalla pretesa di radicare il cristianesimo partendo dalle élites di una società, di radicarlo, diciamo, per aria, anziché sulla terra, cioè a partire dalle persone comuni, com’è ovvio che sia e com’è, tra l’altro, prescritto nel Vangelo.
Di questo processo culturale esiste un modello in scala ridotta in quella che è probabilmente l’ultima società cristiana ancora esistente al mondo, in cui pubblico e privato, cattolicesimo e politica sono una cosa sola in un’identica visione del mondo: la società siciliana.
Parlo una lingua in cui per dire “una persona, un tale” si dice ancora “un cristiano”. Vivo in una città in cui praticamente in ogni angolo dei quartieri più antichi e culturalmente stratificati vi è un’immagine non del Crocifisso, ma dell’Addolorata e, più spesso, dell’Ecce Homo. Gli antropologi proveranno a spiegare il dato parlandovi della disillusione come cifra dell’uomo siciliano e dell’identificazione proiettiva del siciliano col Cristo umiliato e offeso. Più che di un siciliano disilluso, però, io parlerei di un siciliano risentito. Il siciliano (come tipo umano) si rispecchia ovviamente nel Cristo sottomesso, ma non per quella fiducia nel Padre che fa di lui un’icona del perdono, bensì in quanto viatico della propria rivalsa. “Noi siamo déi”, soleva dire il Gattopardo ai suoi ospiti stranieri, quando si trattava di spiegare la Sicilia, “abituati a spaccare il pelo in quattro, ma sempre per i nostri dominatori, mai per noi stessi”, sicuro che i forestieri non avrebbero potuto comunque capire…
Chi è l’Ecce Homo? Un Cristo senza croce, ferito ma non finito. Un dio onnipotente che non ha accettato del tutto la propria sconfitta e che giusto per questo ha perso la sua trascendenza e la sua grazia. Essendo ad un tempo dio, re, giudice e condannato, finisce col saturare ogni spazio e possibilità di redenzione. Così l’ecce homo siciliano è triste non per la sua scarsa identità ma al contrario perché è culturalmente troppo radicato nella propria disgrazia: flagellato per sempre, non risorgerà mai. Il cristo siciliano è tragico perché, come un Totò Merumeni, oppresso e oppressore di sé, è risentito contro se stesso.
Le attuali radici cattoliche della Sicilia, a differenza che nel resto d’Italia, specie di quella centro-settentrionale, non affondano nell’età apostolica, ma in un’epoca assai più recente. L’evangelizzazione cui risale l’identità cristiana dell’Isola non è mai stata “dal basso”; essa si è presentata all’uomo siciliano sin dalle sue origini in un blocco unico con una certa organizzazione della società e con l’ideologia del vincitore. Esattamente come per la via che si vorrebbe seguire per la cosiddetta nuova evangelizzazione in Italia, la cristianizzazione della cultura siciliana è avvenuta dall’alto, operando una scelta privilegiata per le classi dirigenti, servendosene e lasciandosi prendere al loro servizio. Ma poiché l’eccesso d’inculturazione del cristianesimo, che in questo modo si realizza, accade attraverso forme di massificazione e in sistematica assenza di una personale metànoia, esso ha tra i suoi effetti quello di naturalizzare come cristiani tratti culturali oggettivamente antievangelici.
Il vangelo non garantisce nessuna immunità o superiorità morale alle culture storicamente prodotte dai cristiani, come si vede, e come tristemente dimostra, tra l’altro, il profondo radicamento culturale del fenomeno mafioso in società anche di antica evangelizzazione, tradizionalmente permeate di cristianesimo, come in tutto il meridione italiano e particolarmente in Sicilia. Il senso ultimo del cristianesimo sta, evangelicamente, nell’essere sale e lievito, cioè nel suo carattere di minoranza essenziale, nella sua irriducibile diversità trascendente, nel suo essere un supplemento di anima delle società che esso inabita. Comunità più piccole e giovani, come quella valdese, ripropongono oggettivamente meglio della cattolica, almeno in Sicilia, la portata “politica” dell’ispirazione ecclesiale delle origini evangeliche e non è certo un caso che siano state e siano tuttora meno perplesse della comunità ecclesiale cattolica di fronte a certi mali endemici siciliani, come la mafia.
Questo sovraccarico culturalista del cattolicesimo e di totale saturazione degli spazi culturali è in definitiva la causa del drammatico rifiuto dell’identità cristiana dell’Europa secolarizzata, laddove la stessa eredità culturale del cristianesimo esprime il naturale disgusto della coscienza evangelica per ogni forma di potere dispotico.

Ci troviamo oggi in Italia in una nuova fase del confronto tra cattolici e laici caratterizzato dalla crisi del passaggio di autorità da Wojtyla a Ratzinger dopo un lunghissimo periodo di fine pontificato. Ma se stimi il tuo interlocutore tanto poco da ritenerlo deficiente d’umanità finirai inevitabilmente col parlare di sciocchezze. Meglio, allora, non dialogare affatto. L’astronomia nel diciassettesimo secolo era mischiata alla magia, alla mitologia ed alla superstizione; Newton era attratto dalle arti occulte, cosa di moda, del resto, nel secolo dei Lumi; la teoria darwiniana servì da base scientifica a teorie razziste ed eugenetiche e medici e biologi si avvalsero dell’ampia disponibilità di cavie umane per condurre stravaganti esperimenti nei lager nazisti. Tutto ciò, naturalmente, non depone nulla contro l’attendibilità scientifica della fisica, dell’astronomia, dell’evoluzionismo e della medicina; così come risulterebbe assai arduo impegnarsi nella dimostrazione che la S. Inquisizione e le crociate siano espressioni del cattolicesimo più autentiche, poniamo, del salvataggio della cultura classica, del pauperismo francescano, delle ridotte gesuitiche, di una Madonna rinascimentale o dell’invenzione degli ospedali. Se prescindiamo da polemiche, certamente epocali, e tuttavia contingenti dal punto di vista storico e culturale, non sarà difficile riconoscere che la concezione giudaico-cristiana della trascendenza del divino, attraverso quella, strettamente correlata, di immanenza e autonomia delle realtà mondane, ha messo in moto processi millenari: dalla concezione laica dello Stato al riconoscimento dei diritti dell’uomo fino alla nascita della scienza galileiana. Ma a che pro continuare su questi toni apologetici? Già l’omiletica patristica si riferiva alla Chiesa con l’eloquente ossimoro di Casta Meretrix. Non è maneggiando la storia come arma dialettica nelle controversie che se ne rispetta lo statuto epistemologico, non è più tempo di questiones disputatae. Se si vuole essere all’altezza della propria storia, le proprie radici vanno accettate anche con l’enormità dei loro errori. Un atteggiamento revisionista o negazionista oltre che intellettualmente disonesto sarebbe immorale tout court. Noi cattolici italiani, oggi, non siamo all’altezza della nostra storia.

Riflettendo sul fallimento della propria evangelizzazione nella città di Atene, Paolo di Tarso osserva che alla domanda di razionalità da parte dei laici, come del resto alla richiesta di dimostrazioni di autorevolezza avanzata dai credenti, l’apostolo non dispone di altre risposte che non siano la morte vergognosa e stupida di Dio. “Ekenosen” è il termine tecnico, che evoca il vuoto primordiale, tou wabou, da cui Dio trasse ogni cosa, usato da Paolo per dire l’indicibile: Dio si svuotò, si annullò, ha ridotto se stesso a niente, si è azzerato. Il movimento inverso alla creazione. La scelta sistematica di un opus tollendi, dunque, di seguire la via di un alleggerimento dei processi di inculturazione è un’ipotesi, come si vede, risalente.
Di recente così si è rivolto Eugenio Scalfari al Card. Martini:

«Lei carissimo cardinale Martini, ha un amplissimo mantello di compassione, di passione per gli altri. Col suo mantello ricopre anche me talvolta, come il miio può ricoprire anche lei […] E’ per questo che sia lei che io sentiamo nel cuore il messaggio che incita all’amore del preossimo. A lei lo invia il suo Dio e il Cristo che si è incarnato; a me lo manda Gesù, nato a Nazareth o non importa dove, uomo tra gli uomini, nel quale l’amore prevalse sul potere».

Nel dialogo tra cattolici e laici in Italia si tratta oggi di intendere in maniera nuova la proposta di metodo che Giovanni XXIII avanzava nella sua enciclica Pacem in Terris, e ripresa dal Concilio, di cercare ciò che accomuna gli esseri umani. Ma non si tratta ormai più di cercare questo qualcosa che accomuna tutti nell’astrattezza universale della natura umana e delle sue aspirazioni, ma nel concreto bagaglio politico di quella civiltà morale che riconosce in Gesù di Nazareth il proprio indiscusso capostipite.

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  1. 23 dicembre 2009 alle 11:52

    Questo è un passo evangelico ottimo per un appropriata riflessione comunitaria.

    + Dal Vangelo secondo Matteo

    In quel tempo, Gesù disse:
    «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
    Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

    Parola del Signore

  2. Marco
    23 dicembre 2009 alle 15:44

    @ Sebastian,

    ti affido l’onere del commento. ^__^

    • Sebastian
      23 dicembre 2009 alle 17:31

      Mi sa che hai sbagliato bersaglio! 🙂
      Non ne possiamo riparlare dopo le vacanze di Natale? 😉
      Più sottoterra di me, a commenti di questo genere, ci sono solo i fossili di Nothronychus di 90 milioni di anni fa!

      Sai come si dice al gioco del 7 e mezzo? Ecco, lo dico anch’io: PASSO!

  3. 23 dicembre 2009 alle 18:02

    Necessarie dimostrazioni da un loghion matteano

    – Ogni teologia è cristologia.
    – Il principio d’ignoranza come inizio di ogni teologia.
    – La sapienza teologica: non un passare dal noto all’ignoto (Aristotele) né dall’ignoto al noto (Platone, Freud) ma dall’ignoto al mistero.
    – La sapienza teologica non è la comunicazione della totalità delle conoscenze su un sapere universale ma la comunicazione universale di una singolarità di conoscenza sulla totalità dell’Ignoto.

  4. 23 dicembre 2009 alle 18:54

    Un catechismo, sì, nel senso di un’esposizione completa della dottrina cristiana. Ma la definizione potrebbe essere fuorviante, perché Il sogno di Nabucodonosor o la fine della Chiesa medievale (Massari Editore, 2009, pp. 367, è un testo scritto con un linguaggio diverso dall’“ecclesialese” ,…… accessibile solo ad un pubblico di “iniziati”; un libro lontano da una visione della Chiesa e della società che l’autore stesso definisce “medievale” e “irrimediabilmente passata”; un libro, soprattutto, che non proclama verità immutabili attraverso decreti autoritari, ma scardina alla radice dogmi secolari riformulando l’intera fede cattolica attraverso parole “viventi” ed in una prospettiva radicalmente nuova. L’autore, l’85enne gesuita belga Roger Lenaers, si pone infatti l’obiettivo di esprimere “la fede unica ed eterna in Gesù Cristo e nel suo Dio nel linguaggio della modernità”, nella consapevolezza che il “monumento grandioso” della vecchia Chiesa istituzionale finirà come l’imponente statua dai piedi d’argilla sognata da Nabucodonosor:“Una statua, una statua enorme, di straordinario splendore”, racconta la Bibbia (Dn 2,31-35), con “la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte di creta”. Una grande pietra si staccò dal monte dove si trovava, “ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro e divennero come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via senza lasciar traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione”. Ecco: secondo Lenaers le “verità” tradizionali fanno la fine di quella statua quando vengono a contatto con la luce dirompente del messaggio evangelico. Nella presentazione del suo libro, il gesuita belga – che dal 1995 (dopo il pensionamento) ha scelto di fare il parroco a Vorderhornbach, sulle montagne tirolesi – spiega che se “per l’uomo occidentale del terzo millennio il linguaggio della tradizione cristiana è diventato un idioma estraneo diventa improrogabile il compito di tradurre il messaggio cristiano in un linguaggio in cui l’uomo e la donna moderni possano riconoscersi. E spiega: “Non abbiamo ricevuto la nostra fede per tenerla sepolta nel campo del passato, ma per spargerla e seminarla”. E per farlo Lenaers opera una revisione totale del catechismo cattolico, rileggendo ad uno ad uno tutti i temi della dottrina nella chiave del passaggio dall’“eteronomia” alla “teonomia” una operazione che intende operare una “riconciliazione tra l’autonomia dell’essere umano e la fede in Dio”. Eteronomo, secondo l’autore, è l’universo mentale delle rappresentazioni cristiane tradizionali, secondo cui il nostro mondo sarebbe completamente dipendente dall’altro mondo e dalle sue prescrizioni. Un universo mentale che attraversa l’Antico e il Nuovo Testamento, l’eredità dei Padri della Chiesa, la scolastica, i concili, la liturgia, i dogmi e alla loro elaborazione teologica, tutti basati sull’“assioma dei due mondi paralleli”.
    La teonomia, invece, “riconosce in Dio la dimensione più profonda di ogni cosa e pertanto anche la legge (dal greco:nomos )interna del cosmo e dell’umanità”. In questo pensiero “esiste un solo mondo: il nostro. Ma questo mondo è sacro poiché è la costante autorivelazione di quel mistero santo che intendiamo con la parola Dio”, un Dio che “non è mai fuori ma che è stato sempre al centro”, come la più profonda essenza di tutte le cose, la legge interna del cosmo e dell’umanità.
    È nella prospettiva della teonomia, quindi, che Lenaers rilegge le formulazioni eteronome della dottrina relativamente alle Sacre Scritture, alla Tradizione, alla gerarchia, alla cristologia, alla Trinità, a Maria madre di Dio, alla resurrezione, alla vita dopo la morte, ai sacramenti. Anche perché “molte delle rappresentazioni tradizionali non sono così antiche come per lo più si afferma e pertanto non appartengono alla ‘buona novella’ originaria”: “La confessione della divinità di Gesù – ricorda ad esempio Lenaers – ha impiegato vari secoli per entrare a far parte del deposito della fede; tre secoli sono trascorsi prima che lo spirito di Dio venisse visto come una persona divina; ce ne sono voluti quattro per la dottrina del peccato originale ereditario; mille per riconoscere il matrimonio come sacramento; e molti di più per l’infallibilità papale e i dogmi mariani. Era forse impossibile essere veramente cristiani nei tempi precedenti a queste formulazioni?”.(Articolo di Valerio Giganti)

    Egregio Dott.Tre Re,mi sia consentito di augurare a Lei(uomo libero…. !!),ai suoi familiari,ai suoi tanti e qualificati visitatori del suo libero ed inattaccabile blog,un sincero augurio di un Santo e sereno Natale e di un 2010 ricco di favori divini.
    Con stima e amicizia,
    Michele Vilardo.

  5. 24 dicembre 2009 alle 9:39

    Caro Michele, grazie per la stima. Leggo perfettamente tra le righe. Un abbraccio fraterno. Buon Natale.

  6. Sebastian
    24 dicembre 2009 alle 9:49

    Auguri anche a te Michele. Buon Natale e sereno anno nuovo.

  7. 5 gennaio 2010 alle 12:52

    Roma, 7 ottobre 2009
    Il Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone inaugura, con Sua Eminenza il Card. Renato Schifani, la mostra “Il Potere e la Grazia. I Santi Patroni d’Europa”, «una delle esposizioni più belle e importanti mai portate a Roma», come l’ha definita Vittorio Sgarbi.
    Capisco il “Potere”, capisco anche Schifani, Santo Patrono, se non d’Europa, almeno di Palermo; ma la “Grazia” ha a che fare col trascendente.
    Che c’entra Bertone col trascendente?

  8. 5 gennaio 2010 alle 13:01

    Linguaggio teologico

    -“…Ma voi, chi dite che io sia?”
    -“Tu sei il logos pacificatore tra cielo e terra, il principio di un dialogo universale per una nuova civiltà dell’amore”
    -“Che…? Chi sarei, io?”

    • matilda.
      6 gennaio 2010 alle 21:47

      AmmaPPete c’é andato Berto!
      Meno Cumino e
      Più Zucchero in Canna
      Tazza da single

  9. 5 gennaio 2010 alle 15:30

    Carlo Verdone, l’omelia di Don Giuseppe

    Moralismo, banalità, bonario cattolicesimo romano… e il prete italiano tipo si dimenticò di Gesù.

  10. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 16:06

    Beh, non è proprio così… Ci andrei più calmo.

    Si, forse i contenuti di quel discorso potrebbero essere rivisti, riarrangiati, ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze. Non bisogna fermarsi alle parole espresse da un semplice ed ingenuo prete di campagna che celebra una messa qualsiasi.
    Al di là di ciò, qualcosa di più profondo può toccare l’anima di chi ascolta a prescindere dai contenuti della predichina sgrammaticata.
    Probabilmente non è per tutti i preti, ma di fatto è così. Tanti possono testimoniarlo.

    • 5 gennaio 2010 alle 16:46

      A Sebastià, che stai a dì; de che stai a parlà. Ma con chi parli.
      A metti a foco, prima de scrive. Nun vedi nunn’hai capito niente. Nè der posto de Giampero nè da piese. A Sebba, quella è leteratura. E’ na metafora. Che voi riarrangià? Che vvoi rivedè? A devi solo capì. E nun l’hai capita. Ecche qua.
      Arriveditela va.

  11. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 17:03

    Mica tanto metafora. Se ci metti pure gli extracomunitari è così!

    E mi riaggancio pure ad un Vescovo (non ricordo come si chiama), che l’altro giorno ha criticato pubblicamente le omelie di molti sacerdoti usando toni per niente morbidi. O non c’ha capito niente (da Vescovo!), o pensa che un prete debba fare una omelia in Messa a mò di lezione di teologia o, pensa che la gente vada a Messa per ascoltare una lezione di teologia. Non è così.

    La gente cerca Dio, anzi, tutti cerchiamo Dio. E beato il sacerdote ignorante quanto possa essere, che sa darLo durante una Messa.

  12. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 17:16

    Un prete che celebra un matrimonio (secondo Brignano)!

    Dal secondo minuto circa in poi, inizia la pacchia! 🙂

  13. 5 gennaio 2010 alle 17:25

    Cerchi di salvare la beata ignoranza dei preti di campagna (?) ma fai torto all’arte di Verdone, che non ha alcuna intenzione di spernacchiare quel povero cristo di un prete, né dire che in un modo o nell’altro Dio (Dio? Dio, chi?) arriva a tutti anche attraverso mezzi così insufficienti, come noi siamo.
    Dov’è, secondo te, la boccetta del veleno in questo sketch? Nella sublimazione della frustrazione sessuale? Nella nostalgia di un ricordo infantile, subito scacciato, di una corsa sfrenata dietro una palla di stracci? Negli occhiali scuri, nell’occhio orbo?

    • Sebastian
      5 gennaio 2010 alle 17:50

      Non cerco di salvare un bel nulla, e tanto meno la “beata” ignoranza. Metto in luce una situazione di fatto che, o piaccia o no, è così, ed andrebbe sottolineata e ben compresa. Invece mi pare che manchi ai più, ma per fortuna resiste ancora negli ambienti popolari.

      • 5 gennaio 2010 alle 18:15

        Non hai risposto. Allora? Dov’è il pungiglione dello scorpione?

  14. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 17:27

    Seconda parte.

  15. 5 gennaio 2010 alle 17:51

    About Brignano
    Che cavolo c’entra con Verdone?
    Il soggetto delle piece è del tutto diverso, oltre ovviamente l’autore e l’interprete.

    @Seb
    «La gente cerca Dio, anzi, tutti cerchiamo Dio. E beato il sacerdote ignorante quanto possa essere, che sa darLo durante una Messa.»
    Cosa darebbe il sacerdote?
    E vedi di non rispondere con puttanate, s’il vous plait!

  16. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 19:46

    @ Giampiero

    Ah, volevi una risposta? Pensavo fosse una tua considerazione finita lì.
    Il pungiglione dello scorpione dici? Boh, non lo so. Sicuramente non mi piace l’immagine esteriore del prete che viene data. E’ castrata nella sua interezza, insomma.

    @ Calogero

    Ah, non ci entrerebbe perchè la prima è satira acculurata e la seconda no? Questo vuoi dire?

    Riguardo le “puttanate”, hai ragione a metà e, avevo previsto questa tua “riflessione”.

    Quello che il sacerdote può fare, al contrario di altre figure, è celebrare la Messa.
    La Messa, daccordissimo con Padre Pio, è qualcosa di eccezionale; è un dono.
    La Messa, non è un rito dal sapore folkloristico come un qualunque altro, ma un sacrificio vero. Adesso non entro in particolari perchè sono abbastanza ignorante in materia e rischierei di impalagarmi troppo, ma il succo l’ho capito.

    Una Messa celebrata bene, “in Grazia” e “per Grazia” diciamo semplicemente così, fa sentire il sapore di Dio all’assemblea tutta, compreso il celebrante. E ti assicuro, non è poco.
    Ad esempio, per quel che mi riguarda, io adoro questa celebrazione quando è addizionata da seppur brevi, importanti momenti di meditazione e contemplazione che diventa, con la pratica, spontanea.

    Le Messe del mattino presto poco affollate, ma anche della sera, visto la lontananza delle ore di frenesia quotidiana, sono da preferire. E, grandi Grazie arrivano dal Cielo…

    Dico questo solo ed esclusivamente alla luce della mia personale esperienza, naturalmente. Prendere o lasciare.

    • 5 gennaio 2010 alle 20:07

      «Quello che il sacerdote può fare, al contrario di altre figure, è celebrare la Messa.»

      E che c’entra con i predicozzi? Per di più illetterati!

      • Sebastian
        5 gennaio 2010 alle 20:15

        Ecco, è questo il punto. Ci entrano tutti nella Messa, per Grazia, compresi gli illetterati. Perchè la Messa è presenza di Dio che, per “vizio”, poco distingue gli illetterati dagli acculturati.

      • 5 gennaio 2010 alle 20:20

        Aridaje! Che c’entra la Messa coi predicozzi.

        E poi illetterati era riferito al predicozzo al predicatore, mai all’uditore.

  17. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 20:47

    Vuoi farmi perdere la bussola?

    1) E evidente e sottile la discriminazione dei preti poco “acculturati” rispetto agli atri. Io la noto.

    2) Non facevo infatti riferimento agli uditori.

  18. 5 gennaio 2010 alle 21:06

    @Seb.,
    Guarda che qui la grammatica non c’entra. Verdone non vuole prendere in giro l’ignoranza dei preti, il suo discorso è molto più serio, ha un’intenzione morale che manca in Brignano.
    Questa morale di Verdone è profondamente religiosa; lo si vede nella gag di Don Giuseppe che infarcisce di buoni sentimenti la sua predica ma dimentica il cuore del suo ministero quando si dimentica il nome di Gesù, l’unica volta che compare nel discorso, di straforo, parlando, pensa un po’, di Pilato.
    Sì, è la metafora di una chiesa troppo inculturata, che si è messa a guardia delle camere da letto e non evangelizza più, dimentica di Cristo, ne ha scordato perfino il nome.
    Adesso dimmi che Verdone vuole solo far (sor)ridere con l’ignoranza dei preti.

  19. Sebastian
    5 gennaio 2010 alle 21:23

    @ Giampiero

    Ah si, ecco!
    Ma questo è il punto di vista di Verdone, ma io, non drammatizzerei più di tanto. U scieccu unni cari si susi! Preferisco osservare dall’alto che dal basso, di Verdone.

  20. Sebastian
    10 gennaio 2010 alle 21:59

    Cribbio! Certo che ci vuole passione per dedicarsi a certi passatempi!
    A proprosito di preti ed affini, guardate un pò questo video! eh eh eh! 🙂

    ^ Church Street Boys ^, cantano: I Want It That Way

    BackStreet Boys parodia!

    • 11 gennaio 2010 alle 20:18

      Che cos’era?
      Io non l’ho capito.

      • matilda.
        23 gennaio 2010 alle 0:24

        E Lo Kiedi Pure?
        Una Pippa

      • matilda.
        23 gennaio 2010 alle 0:29

        @Cal
        Ma come sei così
        doce azzuccarrarto

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