Anno B, Solennità di Tutti i Santi

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COMMENTO AL VANGELO DOMENICALE

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L’uomo delle beatitudini

Ap 7,2ss.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1ss; Mt 5,1-12a
Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore

Mt 5,1 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
5 Beati i miti, perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12a Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

I ritmi e le contrapposte strutture delle beatitudini ci provocano; forse è per questo che hanno sempre avuto una controversa fortuna. Il brano, per parte sua, rappresentando, sin dalla prima frase, come anche nell’ottava, l’evento del Regno come giudizio –cioè, appunto, come un discernimento, una separazione tra giusti ed iniqui– tramite ripetute contrapposizioni di tipi spirituali ma soprattutto di kairoi (presenti e futuri), sembra studiato a bella posta per indurre l’uditorio a nette prese di posizione.
La tradizione lucana del prologo al discorso programmatico di Gesù, accentua quest’ultimo aspetto, facendo seguire a quattro beatitudini, quattro ammonizioni -“guai a voi”- ricomponendo così il numero totale degli otto detti didascalici della versione di Matteo, ma con l’effetto di renderne più evidente la dialettica implicita, il conflitto, la contrapposizione.
Così se vogliamo vedere in queste parole di Cristo soprattutto la tensione ad una maggiore giustizia socio-economica, rimarcandone i contenuti “politici”, (la rivendicazione della dignità degli oppressi, la legittimazione del desiderio di riscatto, emancipazione ed uguaglianza dei poveri) indicheremo probabilmente in Gesù un innovatore e, al limite, il capostipite di tutti i futuri contestatori delle etiche umane santificate dalla tradizione. Ci colpirà allora lo stridente contrasto tra i dieci comandamenti, che ci appaiono quasi una sintesi della Torah di Mosè e del suo spirito minimalista e prescrittivo, tutto concentrato sulla correttezza legale degli atti umani, e la libertà delle otto beatitudini, che non intimano nulla, ma, al contrario, fanno una promessa, dichiarano l’esistenza di un impegno e una responsabilità che Dio assume nei confronti dei miseri.
Potremmo anche vedere, tuttavia, in questo voler rimandare, da parte di Gesù, la soddisfazione delle giuste aspirazioni dei diseredati della terra ad un non meglio identificato “quando” ed a un fantomatico “altrove”, un pericolo non per i forti ma proprio per i deboli, se li acquieta alienandoli, saziandoli di illusioni. Forse, allora, concederemo a Cristo il beneficio della buona fede o di una certa ingenuità; in ogni caso le sue parole non sono adatte al nostro tempo, non forniscono alcuna indicazione pratica su cosa si debba fare, in concreto, contro l’ingiusto aggressore, il cinismo e l’arroganza dei potentati economici o le ragioni di chi pretende di ristabilire con la forza il diritto violato.
Ad una più attenta lettura del brano, però, appare subito che il brano si presta ad un’interpretazione certamente più profonda. La scelta dei termini, ad esempio, quasi ad ogni rigo richiama alla memoria suggestioni dei profeti e dei salmi: parole come “povero”, che indica l’atteggiamento di disponibilità del credente, spesso in relazione con la “grazia” e la “misericordia” di Jahweh; o “mitezza” e “rettitudine del cuore” che indicano, a loro volta, l’interiorità della giustizia di cui Dio si compiace. Nessun rifiuto della tradizione spirituale e morale ebraica, dunque; al contrario, la stessa scelta dello stile, da parte di Gesù, che sfoggia un’assoluta padronanza delle tecniche didattiche delle scuole rabbiniche, sembra voler recuperare e valorizzare anche la teologia giudaica del suo tempo.
E’ nella proiezione escatologica del brano che dobbiamo trovare la giusta misura tanto della riserva critica sulle realtà mondane che della tensione utopistica, che lo pervadono. Ora, l’uomo delle beatitudini è, prima di tutto, Cristo stesso, come si vede da numerose espressioni presenti nel Vangelo. Cito per tutte: «imparate da me, che sono mite e povero di cuore». Perciò, nelle beatitudini, Gesù offre la sua ermeneutica teologica della propria tradizione spirituale, cioè del giudaismo, ed insieme un autoritratto programmatico del suo messianismo, cioè cosa lui, in quanto messia, vuol esser per noi all’interno della nostra storia.
Proprio in quanto popolo dei poveri e degli oppressi dell’umanità, nella miniatura storico–salvifica delle beatitudini Israele figura come portatore privilegiato della nostalgia di ogni popolo al perdono, alla pace, alla riconciliazione universale, alla liberazione dal male, e depositario, da parte di Dio, della promessa della sua risposta alle speranze degli uomini. L’autocomprensione di Gesù e degli scopi della sua missione passa attraverso tale profondo ripensamento del senso della vocazione d’Israele ed investe l’uditore proponendosi come normativa per la sua prassi, perché questi divenga, a sua volta, uomo delle beatitudini.

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