Natale del Signore (vangelo del giorno)


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COMMENTO AL VANGELO DOMENICALE

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NARRARE, RIVELARE

Natale del Signore
(giorno) Is 52,7-10; Sal 97; Eb, 1,1-6; Gv 1,1-18
Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio

Gv 1,1In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era in principio presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno accolta.
6Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l’hanno accolto.
12A quanti però l’hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli rende testimonianza
e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me”.
16Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio nessuno l’ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.


Secondo un’antica tradizione, attestata dai Padri della Chiesa, Gesù sarebbe risorto lo stesso giorno e mese del suo concepimento, il 25 marzo, il che, oltre a darci una precisa indicazione sul giorno esatto della nascita e della morte del Signore, stabilisce tra la liturgia del Natale e quella di Pasqua un nesso assai stretto in cui è il tempo stesso a divenire simbolo carico di significati teologici. Il tempo che intercorre tra la nascita di Cristo e la sua resurrezione diviene kairòs, tempo di Dio e opportunità d’iniziare una storia del tutto nuova.
La lettera evangelica che commentiamo è quella propria della liturgia latina del giorno di Natale, diversa da quella vespertina della vigilia, della notte e dell’alba, e la scelta del prologo di Giovanni non sembra essere accidentale perfino nell’ora in cui lo si debba far risuonare nelle chiese, trattandosi di una riflessione tutta incentrata sul rapporto tra Logos e Fos, Parola e Luce.
Esso è il risultato a intarsio di due distinti processi redazionali in cui un autore incastona frammenti di cristologia narrativa nel corpo di un inno cristologico preesistente, dal carattere fortemente speculativo.
Poiché ci siamo già occupati degli inserti narrativi nel commento al vangelo della III domenica d’Avvento anno B, ci soffermiamo per amore di brevità solo sull’inno cristologico originario:

Gv 1, 1-5.9.14.16-18

L’ultimo dei quattro canonici, in ordine cronologico, inizia, esattamente come il primo di tutti, il vangelo di Marco, con la parola arché, che significa appunto “inizio”. Il termine è un richiamo intenzionale a Gen 1,1, l’inizio di tutta la rivelazione, be-reshit: “In principio [Dio creò il cielo e la terra]”. Poiché la creazione avviene attraverso un atto linguistico: “Dio disse”, la creazione stessa è rivelazione di Dio. Ciò significa certamente che la creazione è discorso, la creazione e la storia hanno una loro costituzione di senso proporzionata alle possibilità umane di comprensione. Ma significa in primo luogo che il dabar Jahweh [Logos, Parola di Dio], pur essendo il medium della creazione, logicamente la precede. Questa archè è dunque “prima” della creazione e prima di ogni tempo; allo stesso modo la Parola preesiste alla creazione, non è a sua volta creata: “En archè” (Gv 1,1) significa principalmente che la Parola non ha il proprio principio in nulla di creato, ma in Dio solo. Quest’idea è rafforzata nell’inciso di Gv 1,3b in cui drammaticamente si collega il mistero del male e della caduta al ruolo del Logos nella creazione. Il verso ammette, infatti, una lettura alternativa rispetto a quella che sentiremo leggere nella liturgia: “e senza (chorìs, separatamente) di lui quello che era stato creato divenne nulla”.
Indipendentemente dalla creazione anche la rivelazione, come la Parola, ha in Dio stesso un proprio modo d’essere, un suo svolgimento trascendente.
Questo concetto è affidato con insistenza al vivace contrasto tra en, che indica la trascendenza, ed egeneto, che indica invece il passaggio dal non essere all’essere sul piano della contingenza creaturale.
Questo passaggio è meglio chiarito nella seconda strofe dell’inno originario, in cui prolungando il parallelismo tra Gen 1,1 e Gv 1,1 questo Logos, Parola, è detto più volte essere “vita” e anche “luce”. “Vita” (Zoè) è da intendersi in senso soprannaturale quando si parla del Logos (4a), ma anche in senso immanente, quando si dice che tutte le creature vivono una vita che è il riflesso (“luce”, 4b) e la partecipazione della vita che la Parola ha in sé ad un titolo tutto speciale.
Sappiamo da Gen 1,3 che la luce è la prima di tutte le creature e che con essa e in essa è creato il tempo “sia la luce, la luce fu […] e fu sera e fu mattina, primo giorno”…
Insomma non sono il mondo e il tempo che fanno vivere il verbo, anche incarnato, ma al contrario è lui che fa vivere il mondo vivendo nel mondo la propria vita soprannaturale. Il Logos è preesistente alla creazione, ma è anche nel tempo, ed è su questo piano che è “luce”, cioè prima creatura tra tutte e principio della vita creata (nella sua pienezza fisico, psichica-spirituale) proprio perché non vive di vita soprannaturale, ma è piuttosto la vita che in lui diviene soprannaturale.
La Parola di Dio è dunque vita soprannaturale, ma è anche la prima di tutte le creature (modello, causa esemplare) e infine quella che viene ultima a coronare la creazione. In questa duplice veste, “divenuto carne”, cioè persona umana, il Logos “si accampa in noi” (Gv 1,14); ci costituisce nella verità manifestandosi come Figlio per divenire tra di noi, letteralmente, “narrazione” di un Dio mai visto (18):
“L’unico bambino Dio, che riposa in braccio al Padre, proprio lui, lo ha raccontato”.

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