Anno B, Pasqua, VII domenica

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COMMENTO AL VANGELO DOMENICALE

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Custodire il nome

Anno B, Pasqua, VII DOMENICA
(Ove la solennità dell’Ascensione non sia celebrata in domenica)
At 1,15-17.20-26; Sal 102; 1Gv 4,11-16; Gv 17,11b-19
Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia


Gv 17,11b Padre santo, custodisci nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.
12Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. 13Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
15Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal Maligno. 16Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo; 19per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità.

 
La Grande Preghiera Sacerdotale di Gesù è il vangelo col quale la Chiesa si prepara alla Pentecoste.
Come Gv 13-16 può essere considerato il corrispettivo giovanneo del Discorso della montagna, così nel fluire dell’autocoscienza divina di Gesù nel capitolo 17 di Giovanni leggiamo in trasparenza le parole del Padre Nostro. Dalle diverse narrazioni traspare la medesimaspiritualità, indubbiamente una stessa persona storica, con una ben precisa psicologia ed interiorità.
In una sua catechesi P. Pino Puglisi, che faceva del Padre Nostro il centro ispiratore della sua pedagogia e della sua pratica pastorale, commenta così questa pagina:

«[Oltre al Padre Nostro]abbiamo […] anche una lunga preghiera di Gesù al capitolo XVII del Vangelo secondo Giovanni, nella quale Egli pregava per la sua glorificazione (Glorificazione nel linguaggio ebreo ha il senso di “riconoscimento della vera identità”). La preghiera, proseguendo, diventa poi preghiera per i discepoli, perché non si facciano vincere dal male che c’è nel mondo, ma siano portatori di bene, saldi nell’Amore, e nella Comunione. E ancora questa preghiera si conclude abbracciando tutta l’Umanità di ogni dove e ogni tempo: “Ti prego Padre per quelli che tramite loro (i discepoli) crederanno nel mio nome”».

Puglisi dice innanzi tutto che la preghiera di Gesù ha un’intenzione che può cogliersi nella stessa struttura del capitolo. In questo modo, il pregare, come atto qualificante dell’uomo religioso, esce per la prima volta dalla sua intima ambiguità di trovarsi in mezzo tra la necessità di dare risposta al profondo bisogno umano di superare i propri limiti mondani, e l’irragiungibilità di Dio. E’ questa condizione in cui si trova l’iniziativa umana nella preghiera che rende la preghiera stessa paga di sé, della propria capacità di unire gli uomini, di dare loro consolazione ma, nello stesso tempo, motivo dell’esperienza frustrante dell’assenza di Dio. Pronunciata da Gesù, invece, la preghiera si propaga dalla sua fonte identitaria come la luce di un’esplosione (“Gloria”, Gv 17,1.4s.10), procedendo da colui che per natura ne è il soggetto esclusivo, cioè Cristo stesso manifestato al mondo come Figlio, e investendo cerchie sempre più ampie di ecclesialità (9), fino a coinvolgere tutti gli uomini (20).
Puglisi coglie anche le relazioni interpersonali che, nella preghiera di Gesù, si esprimono e si fondano, tenute strette da un legame che è in primo luogo affettivo. Prosegue infatti dicendo:

«Come pregava dunque Gesù? Pregava con grande senso si confidenza verso il Padre, gli si rivolge infatti con quella parola aramaica tramandataci da Marco e Paolo, nella sue epistole: “abbà”, papuccio mio. La preghiera di Gesù è diventata preghiera con cui i cristiani si rivolgono al Padre usando la stessa tenerezza. Egli si rivolge al Padre con gratitudine e fiducia: “Ti ringrazio, perché so che qualunque cosa io ti chieda tu me la concedi”; si rivolge al Padre con spontaneità e gioia, tutto ciò che dice al Padre gli sgorga dal cuore, non c’è nulla di preparato».

Puglisi coglie nella preghiera di Gesù la specificità della preghiera cristiana. Recepisce opportunamente l’originalità dell’”Abba” messa in luce dalla migliore esegesi del tempo, la spontaneità e l’effusività che si sprigionano dalla carica affettiva della relazione unica di Gesù col Padre.
Tutti questi elementi lucidamente colti da Puglisi ritroviamo nel tema della “Custodia nel Nome” (cfr. Gv 17, 11b-12: Custodiscili nel tuo nome!). Gesù chiede che i discepoli possano comunicare con Dio con lo stesso grado d’intimità esistente tra lui e il Padre, l’intensità della quale egli misura indicando la relazione d’identità che sussiste tra una persona e il suo nome, cioè l’essere rivolto agli altri di questa stessa identità. Questo nome, infatti, è quello che il Figlio ha ricevuto direttament dal Padre (11bs). In altre parole, il Figlio in persona è il vero Nome segreto di Dio non solo in quanto dice l’intima identità divina tra i due, ma soprattutto in riferimento al senso che questo intimo radicamento di Gesù nel Padre ha per i discepoli: “Custodisci nel tuo nome coloro che tu mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi!”
Gesù chiede tutto questo al Padre per i propri discepoli, ma senza che essi siano tolti dal mondo, anzi proprio in forza del fatto che essi restano, mentre Gesù stesso sta per lasciare il mondo (10). Sul punto di congedarsi Gesù adombra nella sua preghiera la situazione di confine su cui è piantata ogni esistenza credente e la sua stessa croce. E’ questo che Gesù esplicita nella sua preghiera includendo senza mediazioni, nella medesima esperienza credente, “gioia” (13) e “odio” (14). Nel vangelo di Giovanni la gioia è l’atteggiamento interiore col quale Gesù obbedisce al Padre e compie la propria missione. Solo tornando al Padre Gesù può trasferire ai discepoli la propria missione salvifica, in quanto questi sono ormai destinati ad essere la dimensione visibile, storica, mondana (il “nome”) della sua gloria trascendente di Figlio Unigenito. Questa affermazione teologica di Cristo va strettamente collegata alla richiesta di Gesù con cui il brano evangelico odierno si conclude, affinché i discepoli siano “santificati” nella verità. Gv 17,17-19: “Come tu mi inviasti, io li invio. Gesù chiede che siano consacrati nella verità”. L’interpretazione della frase deve andare nel senso di una richiesta di fedeltà alla croce nella prassi ecclesiale.
Questa parola riceve la sua corretta interpretazione, ancora una volta, in Puglisi, nelle concrete relazioni che vengono a realizzarsi tra i discepoli e tra questi e il “mondo”. Un’interpretazione che non è solo dottrina autorevole ma ermeneutica esistenziale. La Preghiera di Gesù, più che regola e formula è un essere e un modo d’essere, prassi esemplare, modello di relazioni esistenziali, forza testimoniale, martirio e gioia del vero discepolo.

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