Anno B, Quaresima, V domenica

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COMMENTO AL VANGELO DOMENICALE

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La laicità di Gesù

Anno B, Quaresima, V domenica
Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33
Crea in me, o Dio, un cuore puro

Gv 12,20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. 24In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!”.
29La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. 30Rispose Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. 33Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.


“Attirerò tutti a me”: sono tra le ultime parole che Gesù pronuncia pubblicamente. Anche se il blocco redazionale di cui questo brano fa parte è posto a meno di due terzi dell’intera estensione del vangelo di Giovanni, a parte il «grido» di Gesù, riportato pochi versetti più avanti (44-50; un vero e proprio riassunto di tutta la predicazione pubblica) le parole rivolte da Gesù al “mondo” praticamente terminano qui.
L’episodio narrato oggi da Giovanni svolge l’importante funzione strutturale di concludere il lungo processo avviato (sempre a Gerusalemme, sempre nel corso di una festa di Pasqua) con la cacciata dei mercanti dal Tempio, letta due domeniche or sono. Per questo vi troviamo come una prima sintesi delle categorie portanti del quarto vangelo, la chiusura di un grande primo tempo del vangelo di Giovanni.
Ma chi sono questi “tutti” cui Gesù si riferisce?
C’è anzitutto un lato storico-salvifico da sottoporre ad interpretazione. Un’interpretazione tradizionale che ha lasciato traccia anche in alcune varianti testuali, intende: “tutti gli uomini”, riferendo quest’espressione ai versetti iniziali del brano (20s). In questo senso il fatto che dei greci si accostino al messaggio di Gesù, riescano a capirlo, pur provenendo da appartenenze religiose e culturali estranee, è per Gesù stesso il segno che la sua ora è giunta.
Ma è possibile un’altra interpretazione, partendo dall’osservazione che Giovanni inserisce in questa medesima scena allusioni a due distinti episodi narrati separatamente dagli altri evangelisti: l’agonia subita prima del suo arresto ( e la trasfigurazione (26). La costruzione di Gv 12,23-28 prospetta l’identità di abbassamento ed esaltazione, Tabor e Getsemani, morte e resurrezione. La metafora del chicco di grano che risorge moltiplicato, il paradosso di vita e morte, odio e amore, che si perdono e si conservano gli uni negli altri, il ricorso al prediletto titolo messianico di “Figlio dell’uomo”: tutto qui ci dice che nell’ora della croce Gesù pone la sintesi degli estremi esistenziali della sua singolare vicenda personale, per fare di sé il tipo della condizione umana universale e l’immagine esemplare di ogni possibile vicenda personale.
Le ultime parole pubbliche di Gesù pongono, infine, le basi di una teologia politica del rapporto tra fede e vita pubblica e del dipanarsi di questo rapporto entro le strutture storiche di una convivenza civile. Si comprende che cosa intende Giovanni col termine “mondo”. Il concetto di “mondo” non coincide col mondo pagani, con l’universo dei non credenti. Anzi, il mondo non ha propriamente connotati culturalmente definiti, la stessa comunità di Gesù è “nel mondo”. I confini della comunità di Gesù sono permeabili alla cultura pagana ed in grado di accoglierla come un segno che Gesù attendeva, e il segno è qui dato dal desiderio dei greci di vedere Gesù. L’ora della croce è il vero confine tra questi due mondi.
E’ il tema della “laicità” di Gesù e della sua diffidenza nei confronti del messianismo regale. Naturalmente, c’è, da una parte, una considerazione pastorale “strategica”. Il nazionalismo giudaico ha una matrice religiosa e confermare tramite rivelazione e fede le connotazioni dottrinali, sociologiche e politiche della religiosità tradizionale può scatenare la violenza, accentuare disuguaglianze religiose e infine compromettere il mandato di Gesù.
D’altro canto, l’autocomunicazione divina si fa più intensa e chiara quanto più il messianismo di Gesù corrisponde ad una sua “elevazione”, cioè ad un distacco dal “mondo”, ad un porsi alla giusta distanza rispetto al singolare portato culturale di una complessiva autocomprensione che questo stesso mondo ha di sé e con la quale esso giunge di fronte all’evento salvifico in Cristo per riuscire a “vedere” in esso, o meno, una possibile salvezza. Indipendentemente dalle proprie matrici culturali e religiose. Questo tema non è dunque estrinseco, non legato ad estemporanee considerazioni, ad intuizioni momentanee, come quella che si suole citare: “Date a Cesare…”. La laicità di Gesù ha un profondo radicamento nel cuore stesso del suo mandato. La sua volontà di trascendere il particolare orizzonte religioso è il corrispettivo di questo suo comunicarsi al “mondo” e condizione storica dell’universalità della fede. In questo sta il giudizio imminente sul mondo ed anche il senso della laicità di Gesù: nel lasciare che ognuno giudichi se stesso nel giudicarlo.

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