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Tre donne una domanda:Hannah Arendt-Simone Weil-Edith Stein.

Donne e filosofia,un’accoppiata difficile,forse impossibile.Eppure nel Novecento tre grandi figure  hanno lasciato traccia profonda nella cultura del secolo .Vengono ora rievocate in un vivace saggio della psicanalista lacaniana Giuliana Kantzà.

Tre donne tre passioni:per la giustizia,per la mistica,per la ragione. Tre donne unite dall’ebraismo e pertanto colpite dalla persecuzione nazista. Un’opera assai limpida e gradevole che mescola insieme  le drammatiche vicende delle tre israelite con le loro riflessioni filosofiche.

Simone Weil(1909-1943),comunista e bolscevica,lasciò l’insegnamento della filosofia per lavorare alla Renault.Fù brevemente in Spagna per combattere il regime di Franco.Fuggì negli USA e poi in Inghilterra per sostenere la resistenza di De Gaulle.Frattanto andava maturando il suo rifiuto del comunismo.Ammirava Gesù ma odiava la chiesa,così come odiava gli ebrei “popolo maledetto”.

Edith Stein (1891-1942),testimone e martire di due fedi:quella ebraica e quella cristiana. Vide tra le due religioni una continuità piena e lo mostrò assumendo come giorno del battesimo il 1 gennaio1922,festa insieme ebraica e cristiana. Docente universitaria al seguito di Husserl,la lettura della “Autobiografia” di santa Teresa D’Avila la condusse al cristianesimo e alla clausura del carmelo. Studiosa di san Tommaso D’Aquino ne valorizzò la filosofia,ma mostrò che solo la mistica era definitiva secondo l’insegnamento della “noche obscura de alma”di San Giovanni della Croce.Per sottrarla alle persecuzioni naziste fù mandata da Colonia in Olanda dove venne arrestata e trasferita ad Auschwitz e subito uccisa insieme ad una sua sorella.

Hannah Arendt studiò a Marburgo dove conobbe Martin Heidegger.Si salvò dal nazismo prima in Francia,poi negli Usa.Alcune sue opere hanno segnato la cultura del secolo:anzitutto il “totalitarismo”,acutissima indagine che definisce quella tragica novità del Novecento,che accomunava  comunismo e nazismo.

Un’alterità costitutiva, essere una donna, un’alterità di appartenenza, essere ebree, è la traccia unificante di queste tre donne straordinarie che hanno segnato il percorso speculativo del secolo scorso. Un incrocio di tempi le pone di fronte al nazismo e all’orrore del male: su questo sfondo drammatico si innesta il loro discorso: per Hannah Arendt è la decostruzione di una filosofia separata dalla vita, dal legame sociale; per Simone Weil è l’inquieta e lirica ricerca di una trascendenza; per Edith Stein è la luminosa testimonianza della continuità originaria fra giudaismo e cattolicesimo. La loro opera è inscindibile dalla loro vita: il loro discorso si snoda nel simbolico del linguaggio, ma vibra della loro specificità femminile. È proprio al loro tratto di essere «altra» che Giuliana Kantzà fa riferimento; seguendo l’insegnamento di Jacques Lacan, individua la loro peculiarità di appartenenza sessuale: una donna è «non tutta» nel discorso, è, per struttura, contigua al godimento, aperta alle «vie del desiderio», pronta all’amore.
Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein sono le voci alte di questa alterità femminile che conserva e trasmette l’irriducibile del desiderio: nella prima con la «natalità», «Puer nobis natus est», nella seconda con l’appassionata ricerca del bello, nella terza nella via della mistica. Voci che nella solitudine e nel silenzio dell’urlo contemporaneo fanno cenno alla donna, baluardo di un desiderio estraneo all’«avere», e ci consegnano la domanda: «Che cosa vuole una donna?». Domanda che si oppone all’invadenza del conformismo, alla massificazione, che resiste all’invadenza dello scientismo «che è l’ideologia della soppressione del soggetto». Domanda che tocca il nodo Legge-desiderio-godimento, domanda che apre all’amore.

G.Kantzà,TRE DONNE UNA DOMANDA.Hannah Arendt,Simone Weil,Edith Stein,Ed.Ares,Milano,2012,pp.328.

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