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Contraccezione: è ancora valida l’Humanae Vitae?

Scritta quarantatré anni fa, l’Humanae Vitae di Paolo VI, forse l’enciclica più celebre e contestata di tutti i tempi, è ancora valida? Di più: è mai stata valida? E’ questa, infatti, l’implicazione teologica di base contemplata, al di là della casistica di scuola, in quel vero e proprio atto di magistero in forma dialogica che è il recente libro-intervista di Benedetto XVI, “Luce del Mondo”.
Dopo un eclatante esordio con la rinuncia a esprimersi da parte dell’Assemblea Conciliare, che rimetteva la materia al giudizio esclusivo del Pontefice, o piuttosto con la decisione di Paolo VI di avocare a sé un giudizio esclusivo in materia, l’Humanae Vitae fu progettata affidando gli studi preparatori ad una commissione mista di ecclesiastici e laici (tra cui Andre Hellegers, futuro fondatore del Kennedy Institute of Ethics e padre nobile della bioetica) e sotto la Presidenza “pastorale” di Albino Luciani, il futuro papa Giovanni Paolo I. La Commissione concluse i propri lavori dando un parere di maggioranza favorevole alla liceità dell’uso di contraccettivi non “naturali” da parte dei cattolici. Le notizie trapelate riguardo quest’ultima circostanza e alcune recenti dichiarazioni di Paolo VI che condannavano l’indebita invasione della sfera intima da parte delle politiche demografiche di alcuni Stati fecero credere a molti che il Pontefice stesse per lasciare alla coscienza cristiana delle coppie libertà di decisione in materia di contraccezione, regolazione delle nascite, paternità e maternità responsabili. Ma non mancò chi seppe meglio leggere in tali dichiarazioni l’intenzione di Montini di pronunciarsi sfavorevolmente. Il teologo francese Martelet (indicato da taluni come ghost writer dell’Humanae Vitae) scrisse che il papa semplicemente negava a più forte ragione agli Stati un’interferenza sul diritto naturale non consentita neppure alla coscienza individuale.

Si era nel ’68, e forse il periodo di sperimentazione, la volontà di partecipare che il Concilio aveva aperto nella Chiesa, o l’atmosfera di contestazione che si respirava ovunque in Europa e negli USA, fecero sì che il dibattito pubblico sulla Humanae Vitae assumesse dimensioni e intensità mai più raggiunte per nessun altro documento o evento ecclesiale.
Insieme ai “no” che l’enciclica conteneva, infatti (primo fra tutti la dichiarazione di “intrinsece malum” termine tecnico della deontologia con cui si etichettò, dalla Humanae Vitae in poi, la contraccezione ottenuta con qualsiasi mezzo artificiale) vi erano insospettabili aperture, specie nella seconda parte dell’enciclica, quella cosiddetta “pastorale”. A queste aperture si appellavano non solo laici e teologi ma intere conferenze episcopali “disobbedienti”, come quella austriaca, che derubricò in pratica la contraccezione nel matrimonio a colpa veniale e dichiarò che i sacerdoti non avrebbero potuto negare il sacramento dell’eucaristia a quelle coppie che praticassero una contraccezione responsabile nel loro matrimonio. Queste aperture non consistono solo in una profonda differenza di stile e di toni rispetto al precedente stato dell’arte del magistero cattolico in materia di etica sessuale (l’enciclica Casti Connubii) ma nel fatto che la stessa parola “peccato” non figurava mai in nessun punto dell’Humanae Vitae e soprattutto nel teorema della legge della gradualità applicato per la prima volta alla morale sessuale.

Il passaggio dedicato alla liceità “caso per caso” circa l’uso del preservativo occupa solo 2 pagine su 250 del libro di Ratzinger; due pagine assai circospette che NON toccano la dottrina dell’Humane Vitae, come dimostra l’esempio casistico attentamente scelto dal Papa. L’uso del preservativo a fini contraccettivi continua ufficialmente ad essere illecito. Se ne prende in considerazione la liceità, infatti, limitatamente al suo uso come presidio medico e sanitario per contenere la diffusione di patologie a trasmissione sessuale. Il ragionamento è un classico della casistica, dal punto di vista della sua forma argomentativa, e va sotto il nome di “male minore”: trattandosi di un atto consumato all’interno di una relazione di per sé illecita (strettamente attenendosi all’esempio portato da Ratzinger) tanto vale limitarne almeno le conseguenze negative che è possibile controllare. Sinteticamente potremmo forse citare l’antico brocardo in pari causa turpitudinis melior est pars possidentis, la parte cioè di chi usando o imponendo il preservativo ai propri partners ha interesse a tutelare almeno il proprio diritto alla salute, anche se non proprio quella eterna. Presa la questione per questo verso sarebbe pertanto esagerato parlare, come ha fatto Vito Mancuso in un lungo intervento sul quotidiano la Repubblica, di una sorta di svolta epocale nella dottrina sessuale della Chiesa. L’entusiastico giudizio di Mancuso si trova a fare i conti con le precedenti dichiarazioni di Papa Ratzinger, come tutti ricordano, sullo stesso argomento e in un analogo contesto di libero confronto intellettuale. A meno che non si voglia ipotizzare uno spettacolare cambiamento negli orientamenti papali (cosa che però non sembra corrispondere al vero se consideriamo altri punti dell’etica sessuale di Ratzinger, vedi il giudizio sull’omosessualità) l’opinione di allora risulterebbe in un troppo chiassoso contrasto con quella odierna, specialmente se uscita dalla penna di una persona che ha mostrato più volte di avere un vero e proprio culto dell’equilibrio e della moderazione. E’ più probabile allora che il contrasto sia solo apparente, e nelle interpretazioni, piuttosto che nella mente del teologo Ratzinger. Questi pensa in una sola lingua, quella della teologia, appunto. Egli mostra costantemente l’attitudine a venire incontro ai propri interlocutori sul piano intellettuale, sì, ma nel campo assai esattamente ritagliato da un rigoroso linguaggio teologico. E’ per questo che non riesce a molti di coglierne le sfumature e talvolta addirittura di decifrarne correttamente i codici. Ma c’è un modo per cogliere la coerenza delle opinioni costantemente espresse dal Papa e nello stesso tempo l’effettiva discontinuità con la dottrina dell’Humanae Vitae, e questo punto di svolta non si trova nella semplice sostituzione di una norma con un’altra. Appellandosi finalisticamente all’intenzione dell’azione come sistema di fondazione normativa, piuttosto che al procedimento deontologico (che guarda all’intrinseca struttura morale dell’atto indipendentemente dalle intenzioni) tipicamente applicato nell’Humanae Vitae, l’esempio usato da Ratzinger svela il proprio vero retroterra epistemico. Il teorema del male minore, esemplificato casisticamente dal Papa in “Luce del Mondo”, è un classico del teleologismo, come abbiamo visto; ma anche nelle precedenti dichiarazioni di Ratzinger sull’uso del preservativo poteva leggersi non tanto una condanna in senso assoluto di questa pratica contraccettiva, ma solo la distinzione (non necessariamente la contraddizione) tra gli scopi dell’azione ecclesiale e quella di altre istituzioni che autorevolmente intervengono nello stesso campo della promozione umana. Anche la raccomandazione di analizzare “caso per caso” è tipica del teleologismo, in quanto tiene conto della rilevanza, per il giudizio morale, delle intenzioni del soggetto e delle circostanze in cui si trova ad agire riguardo al fine. Una raccomandazione, questa del giudizio caso per caso, che, viceversa, non avrebbe senso in un’impostazione deontologica, la quale ritenendo che gli atti portino in sé stessi il contrassegno della moralità, parla sempre senza ammettere eccezioni. Nient’altro che questo, infatti, è, detto in termini ordinari, il principale significato dell’espressione “intrinsece malum“: la struttura logica della proposizione normativa di tipo deontologico.

Sembra inevitabile, a questo punto, mandare in pensione l’Humanae Vitae. La possibilità di applicare la prospettiva finalistica non ad un singolo tema ma alla rifondazione in prospettiva teleologica dell’intero edificio dell’etica sessuale cattolica, come tra l’altro si fa da tempo per l’etica sociale, è una strada ormai aperta da un papa e non sembra più rinviabile intraprenderla coraggiosamente. Non sarà tuttavia un percorso facile né breve, come dimostra il dissenso proveniente da certi ambienti, riguardo a questa presunta “novità” introdotta in morale da Ratzinger. In primo luogo perché alla dottrina dell’Humanae Vitae circa l’intrinseca malizia di qualsiasi separazione dei fini unitivi da quelli procreativi dell’atto sessuale è stata surrettiziamente appesa tutta la crescente materia che, a torto o ragione, si ritiene compresa nel concetto di “sacralità della vita”. Si pensi allo sviluppo della bioetica, che all’epoca dell’Humanae Vitae letteralmente ancora non esisteva, e che ancora attende una trattazione organica in un documento magisteriale di peso minimamente paragonabile a quello dell’Humanae Vitae. La seconda e più forte ragione è che Giovanni Paolo II riteneva l’Humanae Vitae dottrina dogmatica in senso stretto, quindi irreformabile.
Vorrei citare, per concludere, un aneddoto riferitomi da Salvatore Privitera, l’autorevole teologo moralista scomparso nel 2004, a proposito dei motivi che stavano dietro il ripetuto rinvio dell’uscita dell’enciclica di Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor. Secondo Privitera Wojtyla era deciso a dichiarare ex cathedra il carattere dogmatico della morale sessuale di Paolo VI. Si trattava di una notizia clamorosa, perché l’Humanae Vitae si apprestava a diventare il primo caso nella storia della Chiesa di un dogma “morale”. Com’è noto, pur non essendo teoricamente impossibile che il romano pontefice si pronunzi dogmaticamente ex cathedra anche in materia di mores oltre che de fide (cfr. Pastor Aeternus), significativamente tutto ciò è rimasto finora solo una possibilità sulla carta. Il fatto è che Giovanni Paolo II incontrò resistenze in questo suo progetto, ma chi riuscì definitivamente a scongiurare quella che sarebbe stata una vera e propria catastrofe teologica e pastorale fu uno solo: Sua Eminenza il Card. Signor Joseph Ratzinger.

    • 5 dicembre 2010 alle 3:14

      Luce del Mondo

      Dal libro intervista del Papa, pubblichiamo il testo integrale di due domande del giornalista Peter Seewald (in corsivo) e di due risposte di Benedetto XVI concernenti la lotta contro l’Aids e l’uso del profilattico.

      La sua visita in Africa, nel marzo 2009, ha di nuovo richiamato l’attenzione dei media sulla politica del Vaticano nei confronti dell’Aids. Il 25% dei malati di Aids in tutto il mondo oggi viene seguito da strutture cattoliche. In alcuni Paesi, come per esempio nel Lesotho, i malati di Aids rappresentano più del 40% della popolazione. Lei ha dichiarato che in Africa la dottrina tradizionale della Chiesa si è rivelata l’unico modo sicuro per arrestare la diffusione dell’Hiv. I critici, anche all’interno della Chiesa, sostengono al contrario che è una follia vietare a una popolazione minacciata dall’Aids l’utilizzo di profilattici.

      Dal punto di vista giornalistico il viaggio in Africa è stato del tutto oscurato da un’unica mia frase. Mi è stato chiesto perché la Chiesa cattolica, relativamente all’Aids, assumesse una posizione irrealistica ed inefficace. Così mi sono sentito come sfidato perché la Chiesa fa più di tutti gli altri. E continuo a sostenerlo; perché la Chiesa è l’unica istituzione veramente vicina alle persone, molto concretamente: nel prevenire, nell’educare, nell’aiutare, nel consigliare e nello stare a fianco; e perché come nessun altro si cura di tanti malati di Aids e in particolare di tantissimi bambini colpiti da questa malattia. H o potuto visitare una di queste strutture per i malati di Aids e ho incontrato i malati, e mi hanno detto questo: la Chiesa fa più degli altri perché non parla solo dai giornali, ma aiuta i fratelli e le sorelle sul luogo. Dicendo questo non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale, ma ho soltanto detto quello che poi ha suscitato tanto risentimento: che non si può risolvere il problema con la distribuzione di profilattici. Bisogna fare molto di più. Dobbiamo stare vicino alle persone, guidarle, aiutarle e questo anche prima che si ammalino. L a verità è che i profilattici sono a disposizione ovunque, chi li vuole li trova subito. Ma solo questo non risolvere la questione. Bisogna fare di più.
      Nel frattempo, anche in ambito secolare si è sviluppata la cosiddetta teoria Abc, sigla che sta per «Abstinence – Be Faithful – Condom» («Astinenza – Fedeltà – Profilattico »); laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità.
      Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio, quando un prostituto utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’Hiv. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità.

      Questo significa, dunque, che la Chiesa cattolica non è fondamentalmente contraria all’uso dei profilattici?

      Naturalmente la Chiesa non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale. Nell’uno o nell’altro caso, con l’intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana.

      © Copyright Avvenire, 23 novembre 2010

      Ampi stralci del libro, qui:
      http://benedettoxvielencospeciali.blogspot.com/2010/10/lintervista-di-benedetto-xvi-con-peter.html

  1. 4 dicembre 2010 alle 20:47

    PROFILATTICO Perché è diventato un simbolo del rapporto tra morale e sessualità
    di Vito Mancuso
    Repubblica — 25 novembre 2010 pagina 48 sezione: DIARIO

    Il mondo intero siè interrogato incuriosito sulle parole di apertura di Benedetto XVI all’ uso dei preservativi contenute nel libro-intervista Luce del mondo con il giornalista tedesco Peter Seewald. L’ agenzia dell’ Onu per la lotta all’ Aids ha applaudito, la Sala stampa vaticana ha precisato, i giornali di tutti gli orientamenti hanno lungamente commentato. Persino a me sono arrivate telefonate dall’ Italia e dalla Svizzera per prendere posizione e partecipare a pensosi dibattiti. Ma che cosa è successo per giustificare tutto questo polverone? Siamo in presenza di una svolta reale, o di una delle tante montature mediatiche? Tanto rumore per nulla, o c’ è qualcosa che invece giustifica il clamore? Qualcosa in effetti c’ è, e non è di poco conto: consiste nel fatto che Benedetto XVI ha affermato che per l’ uso del preservativo “vi possono essere singoli casi giustificati”. Anzi, è arrivato a connotare il ricorso al preservativo come “il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità”. Parole inaudite, nel senso letterale del termine perché nessuno mai le aveva udite, non solo da una mente poco incline alle aperture progressiste come quella dell’ attuale papa, ma da tutti i papi precedenti. Mai un papa, prima di queste dichiarazioni di papa Ratzinger, era arrivato a tanto. Il che comporta anzitutto il mutamento di un principio dottrinale: d’ ora in poi nei documenti del magistero e nei manuali di teologia morale non si potrà più affermare che i preservativi sono un mezzo “intrinsecamente cattivo” (vedi Humanae vitae 14 e Catechismo 2370) e quindi sempre da evitarea prescindere dai fini che si intendono perseguire. Da oggi, chiunque tra i vescovi e i teologi sosterrà che i preservativi sono sempre e comunque cattivi, verrà per ciò stesso ad attribuire a Benedetto XVI, che in alcuni casi li ha ammessi, la morale di sapore machiavellico secondo cui i fini giustificano i mezzi. In realtà, se ci sono casi in cui si possono lecitamente usare, i preservativi non possono non essere leciti. La dottrina morale della Chiesa ha registrato una piccola, timida, imbarazzata, ma al contempo chiara e significativa svolta. Nulla di epocale, certo, il direttore della Sala stampa vaticana padre Lombardi ha ragione nel dire che le parole del papa “non sono una svolta rivoluzionaria “. Ci vuole ben altro per compiere la salutare “rivoluzione” di cui ha urgente bisogno la morale sessuale cattolica al fine di giungere a parlare concretamente alla vita degli uomini e liberarsi dall’ ipocrisia di precetti proclamati dal pulpito ma oramai largamente ignorati nelle coscienze. La strada è ancora lunga, e chissà quanto aspra, per far sì che anche a livello di morale sessuale si introduca il rinnovamento operato nella morale sociale dal Vaticano II, e che Paolo VI impedì che avvenisse scrivendo nel 1968 l’ enciclica Humanae vitae in aperto contrasto con la commissione pontificia da lui insediata espressasi a favore della liceità morale dei preservativi. Quella decisione di Paolo VI soppresse, nel metodo prima ancora che nel merito, lo spirito del Concilio, causando la rivincita della componente conservatrice oggi perfettamente compiuta. Tuttavia il cambiamento di direzione implicato nelle parole di Benedetto XVI è netto, e la dottrina, a meno di equilibrismi imbarazzanti, dovrà necessariamente riformularsi. Se è vero infatti che il papa scrive che “le prospettive della Humanae vitae restano valide”, è altrettanto vero che ora ha avuto la saggezza di aggiungere che “altra cosa è trovare strade umanamente percorribili”. Proprio così: una cosa sono i principi, un’ altra cosa le strade veramente percorribili dagli uomini e dalle donne concrete alle prese con la vita concreta. E la morale consiste proprio in questo: nella coniugazione tra l’ altezza dei principi e le strade concretamente percorribili. È quanto insegna da sempre la dottrina del cattolicesimo, anzi secondo Tommaso d’ Aquino “quanto più si scende nei particolari tanto più aumenta l’ indeterminazione” (vedi Summa Theologiae I-II, q.94, a.4 co.), passo così commentato da un recente documento della Commissione Teologica Internazionale: “In morale la pura deduzione per sillogismo non è adeguata. Quanto più il moralista affronta situazioni concrete, tanto più deve ricorrere alla sapienza dell’ esperienza, un’ esperienza che integra i contributi delle altre scienze e cresce al contatto con le donne e gli uomini impegnati nell’ azione. Soltanto questa saggezza dell’ esperienza consente di considerare la molteplicità delle circostanze e di giungere a un orientamento sul modo di compiere ciò che è bene hic et nunc” (“Alla ricerca di un’ etica universale”, paragrafo 54). San Tommaso giunge persino a specificare che tra le due conoscenze che formano il giudizio morale, cioè i principi dottrinali da un lato e la situazione reale dall’ altro, se proprio si deve privilegiare qualcosa “è preferibile che questa sia la conoscenza delle realtà particolari che riguardano più da vicino l’ operare” ( Sententia libri Ethicorum, Lib. VI, 6). Vale a dire: sono molto più vicini alla verità i missionari e le missionarie che incoraggiano l’ uso dei preservativi, che non i teologi moralisti dei palazzi vaticani che tengono fermi i principi dottrinali ignorando la vita reale. Ora, finalmente, anche Benedetto XVI è giunto a toccare la realtà della vita reale, ben diversamente da quando aveva affermato durante il viaggio in Africa che nella lotta all’ Aids il preservativo non solo non aiuta ma peggiora la situazione. È sperabile che da queste sue più sagge parole possa avere origine ciò che il teologo Ambrogio Valsecchi auspicava vanamente già nel lontano 1972, cioè “nuove vie dell’ etica sessuale”? Anche perché, a pensarci bene, quello che è veramente clamoroso è il clamore suscitato mondialmente da queste semplici parole di buon senso del papa che rimandano all’ abc del comportamento prudenziale, paragonabili a “ricordati di allacciare le cinture in macchina”, “sta attento agli scogli quando ti tuffi”, “non accettare caramelle dagli estranei”. Ma anche questo, forse, è un segno del profondo rinnovamento di cui c’ è urgente bisogno nella Chiesa cattolica e di cui la direzione era già stata indicata dal Concilio Vaticano II, ormai quasi mezzo secolo fa: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’ uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’ intimità propria… Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali” ( Gaudium et spes 16). © RIPRODUZIONE RISERVATA – VITO MANCUSO

  2. 7 dicembre 2010 alle 0:13

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  3. notitiae
    7 dicembre 2010 alle 23:35

    Un bell’articolo e il blog molto interessante… Complimenti. Ecco il contributo di NotitiAE per la Filo….
    http://notitiae.wordpress.com/2010/12/04/convegno-dedicato-a-vincenzo-maria-rippo/

    • maurizio
      16 dicembre 2010 alle 19:17

      Ciao Giampiero. La lucidità e l’intensità della tua scrittura sono un bene prezioso e, per me, sono una risorsa ricchissima: te lo dico in maniera davvero autentica.
      Maurizio

      • 16 dicembre 2010 alle 20:59

        Confidenza per confidenza: sei una delle persone più belle e trasparenti che ho incontrato in questi ultimi anni. Spero possa essere l’inizio di una lunga amicizia.

  4. 10 dicembre 2010 alle 0:33

    Benvenuto su TdN.
    Che cosa esattamente non le piace dell’articolo e del blog?

  5. matilda
    16 dicembre 2010 alle 22:38

    per piano solo

    neuronal tecnologies
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    dext one per vision
    recovering
    clash in event of fire

    santas

  6. matilda
    27 aprile 2011 alle 13:41

    Caro Giampiero,
    potresti accennare con qualche argomento
    al testamento biologico?
    grazie Mati

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