L’ospite accomodante

Sulle polemiche che hanno preceduto (e seguiranno) il week-end pontificio del 3 ottobre a Palermo

«Se aveste fede quanto un granello di senape,
potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”,
ed esso vi obbedirebbe
»

 

Preparativi per la visita di Benedetto XVI a Palermo, 3 ottobre 2010. Foto di Sebastian.

Non viene in mente nessuna buona ragione per la quale la giornata che oggi Ratzinger trascorrerà a Palermo possa non considerarsi una futile gita fuori porta di Sua Santità. A meno che Benedetto XVI non proclami il martirio di Padre Puglisi.
Temo però di dover restare deluso e che nella memoria della città rimanga solo questa sorta di reality show papale imposto ai palermitani dall’amministrazione cittadina. Una chiassosa (e dispendiosa) kermesse secolare che le autorità ecclesiastiche non avranno saputo evitare. Passata l’occasione per il Cavallo Pazzo e il Paolini di turno di guadagnarsi i loro cinque minuti di notorietà, la solita liturgia delle firme spegnerà le candele e il sufflé della mobilitazione della società civile s’ammoscerà. Alla città invece da lunedì non resterà che la conta dei cocci.
Le due polemiche che ne hanno vivacizzato la vigilia sembrano nascere proprio dal vuoto di reali motivazioni spirituali di questa visita pontificia sul quale la giunta cittadina ha voluto impiantare la propria operazione d’immagine.
I due milioni e mezzo di euro spesi per l’organizzazione dell’evento sono parsi a molti davvero troppi in una città in cui una famiglia su cinque vive al di sotto della soglia nazionale di povertà, staziona in una ormai cronica emergenza ambientale, occupazionale, abitativa, ricopre i gradini più bassi di ogni classifica di qualità dei servizi e di vivibilità e infine da anni non spende un soldo in cultura.
La seconda polemica ha al centro la «Lettera al Papa Benedetto XVI» scritta dal movimento “Chiesa e Città” ed altre dodici comunità ed associazioni cattoliche palermitane, trasmessa al pontefice attraverso il Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone. Già il 9 giugno 2010

«I credenti che sottoscrivono questa lettera, per il bene che ne può derivare a tutta la comunità ecclesiale e in modo particolare a tutti i presbiteri in questo anno ad essi dedicato, nel rispetto delle modalità previste dalla Chiesa, chiedono, Beatissimo Padre, che, in occasione della Sua venuta in Sicilia nel prossimo mese di ottobre, venga solennemente riconosciuta dalla Chiesa come martirio cristiano la morte del presbitero Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia».

La lettera sembra tuttavia caduta nel vuoto, non avendo avuto nessuna risposta dalla Santa Sede, neppure di disapprovazione.
Intanto però il consigliere comunale del Pd, Davide Faraone, si assume, con ampia risonanza nella stampa nazionale, la paternità dell’iniziativa, facendosi promotore «assieme a una rosa di associazioni religiose» di una raccolta “bipartisan” (cattolici e laici) di firme per “Don Pino Puglisi Martire”, tra le più vistose delle quali figurano quelle di Andrea Camilleri, Vincenzo Consolo, Dacia Maraini, Giuseppe Tornatore, Don Ciotti, Francesco Guccini, Felice Cavallaro, Beatrice Monroy.
Le comunità ecclesiali, vere promotrici della «Lettera al Papa» hanno preso la cosa con un certo fastidio, non tanto per essere state scippate dell’iniziativa né per essere state precettate da una parte politica senza neppure essere state interpellate, né perché temono che il cappello messo dalla sinistra in maniera tanto sprovveduta sulla loro iniziativa abbia offerto il pretesto agli ambienti curiali per etichettarli come disobbedienti. Il punto che davvero preme a Don Francesco Stabile e al movimento “Chiesa e città”, i veri promotori della “Lettera a Benedetto XVI”, è un altro:

«Una profonda ispirazione evangelica permeava l’azione pastorale di questo parroco della borgata palermitana di Brancaccio. L’annunzio di Gesù Cristo desiderava incarnarlo nel territorio, assumendone tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana. Ma questo significava evidenziare le piaghe di sofferenza e di sfruttamento, significava inserire nel territorio fermenti evangelici nuovi, attenzioni nuove che turbavano equilibri e interessi consolidati, aprivano varchi nel controllo del territorio da parte della mafia, sollecitavano una fede religiosa che si traduceva in processi di liberazione dal male».

Insomma, la capacità della figura di Puglisi di rappresentare un simbolo per tutti, al di là delle diverse appartenenze, non ha bisogno di alcuna “rilettura” politica, perché dipende esclusivamente dalla sua schiettezza evangelica.

Anche se ovviamente non se ne potrà indicare proprio in lui il responsabile, il botto fallimentare che con questa visita papale si prepara potrebbe evitarlo solo Ratzinger, agendo nella maniera che si è detto: riconoscendo Puglisi protomartire della giustizia, primo in santità di una lunga schiera di palermitani e italiani che hanno offerto la loro vita per saziare la fame e sete di giustizia dei poveri di Jahweh.
Se Ratzinger oggi sceglierà di accomodarsi ad una trama già scritta, anche le sue parole londinesi sulle vittime di cattopedofilia, paragonate a quelle dei martiri della fede, diverranno una pignucolante sceneggiata. Questo infatti hanno in comune i due mali, la cattopedofilia e la mafia: sono entrambe «strutture di peccato» rese possibili da diffuse connivenze istituzionali, dalla persistenza, tra gli uomini di Chiesa, di durezze di cuore e mentalità antievangeliche. Le parole siciliane di Ratzinger inoltre non potranno neppure essere un passo indietro rispetto a quelle pronunciate da Wojtyla nella Valle dei Templi pochi mesi prima del martirio di Puglisi, altrimenti anche queste ultime risulteranno meno credibili e sminuite. Non basterà un generico accenno, non basterà nulla di meno di un’ermeneutica cristologica di queste figure profetiche e del loro tempo, nulla di meno della migliore teologia di Ratzinger.
Ma se Ratzinger in questa domenica palermitana riempirà di senso teologico questa sua visita, i disagi di questo evento, che si aggiungono a quelli procurati alla città dall’immobilismo, dall’inettitudine, dalla malafede di chi ci amministra, riceverebbero una sovrabbondante compensazione di valore. Il riconoscimento, al più alto grado di autorevolezza, che il sangue di Puglisi e degli altri martirizzati dalla mafia sono stati il maggiore contributo dato da Palermo nel secolo scorso all’avanzamento civile e spirituale dell’intero Paese e di tutta la Chiesa italiana può bastare.

  1. Rosa
    17 dicembre 2010 alle 14:51

    Benedetto XVI ha espresso la propria gratitudine nel discorso rivolto al nuovo ambasciatore italiano presso la Santa Sede Francesco Maria Greco, che ha presentato questa mattina le sue credenziali al Pontefice. ”Non si può pensare di conseguire l’autentico progresso sociale – ha ricordato il Santo Padre – percorrendo la via dell’emarginazione o perfino del rifiuto esplicito del fattore religioso, come ai nostri tempi si tende a fare con varie modalita”’. ”Una di queste è, ad esempio – ha proseguito il Vescovo di Roma – il tentativo di eliminare dai luoghi pubblici l’esposizione dei simboli religiosi, primo fra tutti il Crocifisso, che e’ certamente l’emblema per eccellenza della fede cristiana, ma che, allo stesso tempo, parla a tutti gli uomini di buona volontà e, come tale, non è fattore che discrimina”.

    ”Desidero esprimere – ha quindi affermato il Papa – il mio apprezzamento al governo italiano che a questo riguardo si è mosso in conformità a una corretta visione della laicità e alla luce della sua storia, cultura e tradizione, trovando in ciò il positivo sostegno anche di altre Nazioni europee”.

    ”Mentre in alcune società – ha aggiunto – vi sono tentativi di emarginare la dimensione religiosa, le cronache recenti ci testimoniano come ai nostri giorni vengano compiute anche delle aperte violazioni della libertà religiosa. Di fronte a questa dolorosa realtà, la società italiana e le sue Autorità hanno dimostrato una particolare sensibilità per la sorte di quelle minoranze cristiane, che, a motivo della loro fede, subiscono violenze, vengono discriminate o sono costrette ad una forzata emigrazione dalla loro patria”.

    ”Auspico – ha poi detto Benedetto XVI- che possa crescere ovunque la consapevolezza di questa problematica e, conseguentemente, vengano intensificati gli sforzi per vedere realizzato, ovunque e per tutti, il pieno rispetto della libertà religiosa. Sono certo che all’impegno in tal senso da parte della Santa Sede non manchera’ l’appoggio dell’Italia in ambito internazionale”.

    MA PROPRIO NESSUNO SA DIRGLI: …..VA KA KA…….

    sono eccessiva? sai, dopo il baccalà e un ottimo Chardonnay…..

    • 17 dicembre 2010 alle 23:56

      Sinceramente non ti seguo: perché rivendicare un diritto (anzi, un principio) come la libertà religiosa dovrebbe meritarsi l’accompagnamento coattivo a quel Paese?

      • Rosa
        18 dicembre 2010 alle 12:40

        Oh, no! Non sono affatto contraria a quel sacrosanto principio di libertà religiosa! Ci mancherebbe!
        Il fatto è che, all’indomani della “fiducia coatta” al governo Berlusconi, lodarlo per non avere levato dai luoghi pubblici il crocifisso, fa ridere!
        Altro che crocifisso! In quel Cristo crocifisso io vedo, chissà perchè, la crocifissione del popolo italiano.
        Le lodi del Papa al governo mi sanno tanto di incensamento che serve a sottolineare la promessa del sostegno del mondo cattolico a Berlusconi.
        Mi sembra veramente fuori luogo. Anzi….mi irrita. Anzi….mi deprime.

      • 18 dicembre 2010 alle 18:32

        Non so, cara Rosa, non sono convinto della tua lettura. L’insediamento di un ambasciatore è un fatto rutinario, e la Santa Sede ha un interesse pastorale a mantenere buoni rapporti diplomatici con tutti gli Stati; ma in concreto i suoi interlocutori sono i governi.
        Non hai citato la fonte, che poi non è altro che il selezionatore dei passaggi che più ritiene significativi o gli aggradano. Pur non essendo impossibile che tu abbia ragione, può anche darsi, però, che l’interesse a fare la serenata al governo italiano sia da cercare lì, non nel discorso del Papa in sé.
        Ma più di tutto penso che lo scenario in cui inquadrare il discorso di papa Benedetto non sia la politica italiana o la querelle sul crocifisso ma le recenti uccisioni di cristiani in Iraq, Pakistan, Sudan e Turchia, e la fresca nomina di vescovi “nazionalisti” da parte del governo cinese.

      • matilda
        18 dicembre 2010 alle 19:28

        Scusate se mi permetto di inserirmi nella querelle, penso che sia più utile il progetto di gente che ha fede e amore, aldilà di vedere davvero l’ assassinio di cristiani in terre d’ Oriente ,cosa grave dal punto di vista del diritto alla vita di ogni uomo, o la nomina fuori canone di vescovi in Cina, si spera più fedeli alla Chiesa, alle sue necessità e alla vera carità e predicazione.
        Cristo non ha mai in verità predicato se stesso ma ha detto sono vita, via e amore.
        Cristo era figlio di un falegname, moltiplicava pani e pesci, guariva gli ammalati, i paralitici, spezzava il pane e lo gustava con amore a mensa con gli amici.
        Cristo era seguito e amato dalle folle. Ma per se non scelse mai nulla, non ebbe più una famiglia, nè una moglie, nè figli, ma la via della Croce. Cristo non fu meno fortunato di altri, scelse la sua via e fino in fondo.
        Chi oggi si dice cristiano o seguace fa memoria anche di questo.

      • 19 dicembre 2010 alle 10:35

        Cara Matilda,
        Poni il problema in termini più radicali, se cioè, la Santa Sede “debba” avere una diplomazia. Possiamo andare fino in fondo e chiederci se la Chiesa “debba” avere uno Stato. Di più: se debba continuare a essere una religione.

      • matilda
        19 dicembre 2010 alle 14:04

        Risposta a Giampiero 19dicembre

        Non scendo sul tuo piano, la Chiesa è il popolo di chi si professa cristiano, la Chiesa nella storia ha visto anche momenti di crisi e divisione, la Chiesa come istituzione è uno stato sovrano con sua diplomazia e gerarchie. La Chiesa come Chiesa o chiesa del Dio Vivente è la fede contro ogni disperazione, è la carità contro gli egoismi privati e personali, è la speranza, è il soccorso, è una via che insegna l’amore più gratuito, è una via per la gioa da vivere ogni giorno perchè è un dono cui ciascuno ha diritto.

      • 19 dicembre 2010 alle 15:13

        Cara Matilda,
        prima di «scendere», o salire, ad un certo piano, sarebbe opportuno mettersi d’accordo su quale sia il piano della discussione, altrimenti perderemo il tempo ad andar su e giù senza capirci un granché.
        Non è affatto indifferente scrivere «Chiesa» o «chiesa». Lo stesso vale per il termine «istituzione», che non è affatto univoco. Nella Chiesa come istituzione convivono un’istituzione divina (fondata sacramentalmente nel Cenacolo e sul Golgota) e un certo numero di istituzioni umane, culturali, antropologiche, storiche. La domanda di Rosa (credo), e la mia risposta (lo posso assicurare) si ponevano su questo piano storico, non sull’altro, cristologico-sacramentale.

  2. Rosa
    • 19 dicembre 2010 alle 14:21

      È come sospettavo: un resoconto mutilo del discorso papale, molto selettivo fin dal titolo.
      Vedi, ad esempio, come quest’altro sito stenda un rapporto con un’interpretazione diametralmente opposta rispetto a quella datane da adn-cronos:

      «Città del Vaticano, 17 dic. (Apcom) – Chiede “concordia” per l’Italia, riconosce che la vita del paese è caratterizzata da “vicende liete e tristi” ma vola alto, il Papa, ed evita accuratamente, nel discorso al nuovo ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, di entrare nel vivo della discussione sul voto di fiducia e i destini del Governo, sul terzo polo e il ruolo dei cattolici in Parlamento».
      http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2010/12_dicembre/17/papa_chiede_concordia_per_italia_ma_si_tiene_lontano_da_politica,27501348.html

      A questo punto, come sempre, la cosa migliore da farsi è leggersi i discorsi in versione integrale, se ci si vuole ragionar sopra con la propria testa (vedi discorso integrale qui di seguito).
      Il Papa ha parlato dei crocifissi, ma anche dei tradizionali rapporti tra Santa Sede e Italia, della politica dei concordati (interessante come questi vengano ricondotti all’interesse dello Stato per la tutela dei diritti, piuttosto che alla missione della Chiesa, come dire che non è la Chiesa ad averne bisogno, ma la società civile). Il centro del discorso è comunque chiaramente un appello ad uno sforzo internazionale per la tutela del diritto di libertà religiosa.
      A proposito: ad un certo punto Benedetto XVI parla della sua visita a Palermo, dicendo della calorosa accoglienza ricevuta. Spero che ciò non venga intepretato da Cammarata come un sostegno ed un’approvazione papale al proprio operato da sindaco.

      Signor Ambasciatore,

      sono lieto di accogliere le Lettere con le quali il Presidente della Repubblica Italiana La accredita Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario presso la Santa Sede. Nel ringraziarLa per le nobili espressioni che mi ha indirizzato, il mio pensiero si estende al Capo dello Stato, alle altre Autorità e a tutto il caro Popolo italiano. Continuamente ho l’occasione di constatare come sia forte la consapevolezza dei particolari vincoli fra la Sede di Pietro e l’Italia, che trovano significativa espressione sia nell’attenzione che le Autorità civili hanno per il Successore del Principe degli Apostoli e per la Santa Sede, sia nell’affetto che la gente d’Italia mi dimostra con tanto entusiasmo qui a Roma e durante i viaggi che compio nel Paese, come è avvenuto anche di recente in occasione della mia visita a Palermo. Vorrei assicurare che la mia preghiera accompagna da vicino le vicende liete e tristi dell’Italia, per la quale chiedo al Datore di ogni bene di conservarle il tesoro prezioso della fede cristiana e di concederle i doni della concordia e della prosperità.

      In questa felice circostanza Le porgo, col mio cordiale benvenuto, un fervido augurio per l’impegnativa missione che Ella oggi ufficialmente assume. Infatti, l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede – la cui prestigiosa sede, legata anche alla memoria di san Carlo Borromeo, ho potuto visitare due anni or sono – costituisce un importante punto di raccordo per i rapporti di intensa collaborazione che intercorrono fra la Santa Sede e l’Italia, non solo dal punto di vista bilaterale, ma anche nel più ampio contesto della vita internazionale. Inoltre, la Rappresentanza diplomatica, di cui Ella assume la guida, offre un valido contributo allo sviluppo di armoniosi rapporti fra la comunità civile e quella ecclesiale nel Paese, e presta pure preziosi servizi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Sono certo che sotto la Sua guida questa intensa attività proseguirà con rinnovato slancio, e già da ora esprimo a Lei e ai Suoi collaboratori la mia viva riconoscenza.

      Come Ella ha ricordato, hanno preso avvio le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, occasione per una riflessione non solo di tipo commemorativo, ma anche di carattere progettuale, assai opportuna nella difficile fase storica attuale, nazionale ed internazionale. Sono lieto che anche i Pastori e le varie componenti della Comunità ecclesiale siano attivamente coinvolti nella rievocazione del processo di unificazione della Nazione iniziato nel 1861.

      Ora, uno degli aspetti più rilevanti di quel lungo, a volte faticoso e contrastato, cammino, che ha condotto all’odierna fisionomia dello Stato italiano, è costituito dalla ricerca di una corretta distinzione e di giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e quella religiosa, esigenza tanto più sentita in un Paese come l’Italia, la cui storia e cultura sono così profondamente segnate dalla Chiesa cattolica e nella cui capitale ha la sua sede episcopale il Capo visibile di tale Comunità, diffusa in tutto il mondo. Queste caratteristiche, che da secoli fanno parte del patrimonio storico e culturale dell’Italia, non possono essere negate, dimenticate o emarginate; l’esperienza di questi 150 anni insegna che quando si è cercato di farlo, si sono causati pericolosi squilibri e dolorose fratture nella vita sociale del Paese.

      A questo riguardo, Vostra Eccellenza ha opportunamente richiamato l’importanza dei Patti del Laterano e dell’Accordo di Villa Madama, che fissano le coordinate di un giusto equilibrio di rapporti, del quale si avvantaggiano la Sede Apostolica così come lo Stato e la Chiesa in Italia. Infatti, il Trattato Lateranense, configurando lo Stato della Città del Vaticano e prevedendo una serie di immunità personali e reali, ha posto le condizioni per assicurare al Pontefice e alla Santa Sede piena sovranità e indipendenza, a tutela della sua missione universale. A sua volta, l’Accordo di modifica del Concordato mira fondamentalmente a garantire il pieno esercizio della libertà religiosa, di quel diritto cioè, che è storicamente e oggettivamente il primo tra quelli fondamentali della persona umana. E’ perciò di grande importanza osservare e, allo stesso tempo, sviluppare la lettera e lo spirito di quegli Accordi e di quelli che ne sono derivati, ricordando che essi hanno garantito e possono ancora garantire una serena convivenza della società italiana.

      Quei patti internazionali non sono espressione di una volontà della Chiesa o della Santa Sede di ottenere potere, privilegi o posizioni di vantaggio economico e sociale, né con essi si intende sconfinare dall’ambito che è proprio della missione assegnata dal Divino Fondatore alla Sua comunità in terra. Al contrario, tali accordi hanno il loro fondamento nella giusta volontà da parte dello Stato di garantire ai singoli e alla Chiesa il pieno esercizio della libertà religiosa, diritto che ha una dimensione non solo personale, perché “la stessa natura sociale dell’essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario” (CONC. VAT. II, Dich. Dignitatis humanae, 3). La libertà religiosa è, quindi, un diritto, oltre che del singolo, della famiglia, dei gruppi religiosi e della Chiesa (cfr ibid., 4-5.13), e lo Stato è chiamato a tutelare non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione e delle comunità religiose nella sfera pubblica.

      Il retto esercizio e il corrispettivo riconoscimento di questo diritto consentono alla società di avvalersi delle risorse morali e della generosa attività dei credenti. Per questo non si può pensare di conseguire l’autentico progresso sociale, percorrendo la via dell’emarginazione o perfino del rifiuto esplicito del fattore religioso, come ai nostri tempi si tende a fare con varie modalità. Una di queste è, ad esempio, il tentativo di eliminare dai luoghi pubblici l’esposizione dei simboli religiosi, primo fra tutti il Crocifisso, che è certamente l’emblema per eccellenza della fede cristiana, ma che, allo stesso tempo, parla a tutti gli uomini di buona volontà e, come tale, non è fattore che discrimina. Desidero esprimere il mio apprezzamento al Governo italiano che a questo riguardo si è mosso in conformità a una corretta visione della laicità e alla luce della sua storia, cultura e tradizione, trovando in ciò il positivo sostegno anche di altre Nazioni europee.

      Mentre in alcune società vi sono tentativi di emarginare la dimensione religiosa, le cronache recenti ci testimoniano come ai nostri giorni vengano compiute anche delle aperte violazioni della libertà religiosa. Di fronte a questa dolorosa realtà, la società italiana e le sue Autorità hanno dimostrato una particolare sensibilità per la sorte di quelle minoranze cristiane, che, a motivo della loro fede, subiscono violenze, vengono discriminate o sono costrette ad una forzata emigrazione dalla loro patria. Auspico che possa crescere ovunque la consapevolezza di questa problematica e, conseguentemente, vengano intensificati gli sforzi per vedere realizzato, ovunque e per tutti, il pieno rispetto della libertà religiosa. Sono certo che all’impegno in tal senso da parte della Santa Sede non mancherà l’appoggio dell’Italia in ambito internazionale.

      Signor Ambasciatore, concludendo le mie riflessioni, desidero assicurarLe che, nel compimento dell’alta missione a Lei affidata, Ella potrà contare sul sostegno mio e dei miei collaboratori. Soprattutto invoco su questi inizi la protezione della Madre di Dio, così amata e venerata in tutta la Penisola, e dei Patroni della Nazione, i santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, e imparto di cuore a Lei, alla Sua famiglia, ai Suoi collaboratori e al caro Popolo italiano la Benedizione Apostolica.

      http://www.chiesa-cattolica.com/modules.php?name=News&file=print&sid=4431

      • matilda
        19 dicembre 2010 alle 16:00

        Giampiero?

        Personalmente credo la Chiesa nelle sua dimensione sacramentale come comunione fra, nella sua dimensione cristologica e di adonai, nella sua realtà istituita da Gesù se stesso con la preghiera su Pietro.

  3. matilda
    19 dicembre 2010 alle 16:03

    Credo la Chiesa nelle sua dimensione sacramentale come comunione fra, nella sua dimensione cristologica e di adonai, nella sua realtà istituita da Gesù con la preghiera su Pietro.

  4. Rosa
    19 dicembre 2010 alle 16:04

    Gismpiero, ma dici vero?
    E’ possibile che il tuo acume non riesca a leggere tra le righe di questo ben congegnato discorso?
    Ma quali sarebbero mai, oltre al crocifisso, gli altri simboli di culto esposti nei luoghi pubblici?
    Quando il papa parla della libertà di professare la fede, pensa esclusivamente alla libertà di essere cattolici, e non alla libertà di professare altre religioni!
    Inoltre, il passo che cita: ” la Chiesa non cerca potere, privilegi o posizioni di vantaggio economico e sociale” è pazzesco!…..la Chiesa non cerca, perchè ce l’ha!!! POTERE. PRIVILEGIO, VANTAGGIO ECONOMICO…. LA CHIESA Eì UNA POTENZA!!! LA CHIESA E’ UN TRITACARNE… MEZZA ITALIA E’ DELLO STATO PONTIFICIO.

    Per tutto il resto, lascio a te un’analisi più edotta.

    • 19 dicembre 2010 alle 16:50

      @GP
      Voleva forse dire dotta!

      • Rosa
        19 dicembre 2010 alle 17:35

        Grazie caro,
        sei prezioso!

        Volevo anche dire che non solo mezza Italia, ma anche mezzo mondo è della Chiesa.

        Inoltre, meglio non cullarsi tra gli allori della tradizione e ammettere che l’Italia non è un un paese cattolico, ma un paese dove esistono già da molti anni realtà non cattoliche ben radicate.
        Bisognerebbe, alla luce di queste trasformazioni culturali, rivedere tutti i “Patti e Patticeddi” togliendo per sempre ogni privilegio all’organizazione della chiesa, alle scuole private cattoliche finanziate dal governo, etc, etc, etc….

      • 19 dicembre 2010 alle 19:09

        quelli non si possono togliere per la stessa ragione per cui si devono togliere

    • 20 dicembre 2010 alle 12:48

      Cara Rosa,
      Grazie per l’acume che mi accrediti. Ma nessuna sagacia per quanto grande può far leggere tra le righe quello che non c’è. Se poi a chi ha in mano un martello ogni questione sembra un chiodo, allora definire la chiesa “un tritacarne” porterà fatalmente a leggere macelleria tra le righe di qualsiasi discorso papale.
      Tu dai troppa importanza a Berlusconi e alla politica italiana. Per dir bene o male del governo di destra o di sinistra non c’è alcun bisogno che si scomodi il papa, è compito di livello assai più basso che può benissimo svolgere il segretario o il presidente della Conferenza episcopale italiana, al limite il Segretario di Stato Vaticano. Il governo italiano sarebbe ben felice che tu avessi ragione, cioè di ricevere al cospetto della storia una consacrazione della propria politica interna niente meno che dal papa in persona. E di chi stiamo parlando, di Napoleone? Di Carlo Magno? Per di più nell’occasione per nulla straordinaria dell’insediamento di un ambasciatore, che è poi un evento che ha a che fare col governo italiano nella sua veste istituzionale, non in quanto di destra o di sinistra. Ma per nostra fortuna le cose non stanno come tu dici. Il papa ha lodato le politiche internazionali italiane in quanto in linea con la tradizionale amicizia tra Italia e Santa Sede e che non sono un’invenzione o una specificità dell’attuale governo, occasionalmente di destra.
      Diversamente, il Papa starebbe strumentalizzando i massacri di cristiani in oriente e in Africa per il corto respiro delle politiche ecclesiastiche del nostro Paese: un’ipotesi che non voglio neppure prendere in considerazione.

  5. Rosa
    19 dicembre 2010 alle 18:54

    “Queste caratteristiche, che da secoli fanno parte del patrimonio storico e culturale dell’Italia, non possono essere negate, dimenticate o emarginate; l’esperienza di questi 150 anni insegna che quando si è cercato di farlo, si sono causati pericolosi squilibri e dolorose fratture nella vita sociale del Paese.”

    Questa frase del Papa, poi, ha un sapore neanche troppo vagamente ricattatorio. Perchè mai un’Italia pluralista sul piano religioso dovrebbe causare pericolosi squilibri e dolorose fratture pewr la vita sociale? Il Papa è semplicemente preoccupato di perdere la leadership e vuole terrorizzare il paese?
    Ma se prima ha parlato della libertà religiosa come un diritto del singolo, della famiglia, dei gruppi religiosi…
    Questa libertà è un diritto se si esercita in seno alla Chiesa cattolica, ma diventa un pericolo se si esercita altrove!

    Io sono buddista, il mio compagno ateo, i miei vicini di casa scintoisti. Non mi preoccupo affatto di questo e lo considero un privilegio e una grande opportunità, una ricchezza.

    Sai che ti dico? Ha ragione Matilda. Tuttu è pa cutra…..

  6. Rosa
    19 dicembre 2010 alle 19:39

    Andiamo adesso ai crocifissi.
    Questi, proprio per quel rispetto del diritto alla libertà religiosa tanto sottolineata dal Papa nel suo discorso, dovrebbero essere tolti dai luoghi pubblici, a cominciare dalla scuola per finire al tribunale.

    Il primo Presidente della Soka Gakkai Makiguchi fu arrestato in Giappone perchè si rifiutò di esporre il simbolo scintoista all’interno del piccolo tempio buddista Nichiren. Le religioni non dovrebbero mai essere “dominanti”, ma aprirsi al dialogo. Non dovrebbero mai esporre pubblicamente i proprio simboli. Non dovrebbe esistere una religione di governo o ufficiale e questa non dovrebbe mai essere insegnata a scuola.

    Non si dovrebbe proporre l’ora di catechismo a scuola, ma se mai, l’insegnamento delle religioni. Non basta dare la possibilità di astenersi dall’ora di religione. Questa èuna forma di discriminazione. Un bambino ancora non maturo e facile al plagio, don dovrebbe, a mio avviso, trovare la religione tra le materie scolastiche. Nessun buddista parla mai della pratica ai suoi figli. Quando i bambini diventano adulti, scelgono. Se fanno domande, si risponde. In tantissimi asili italiani, i bimbi cominciano la giornata con il segno della croce e le preghiere. Lo trovo scandaloso. Se i cattolici vogliono costruire nuovi soldatini di Cristo, dovrebbero farlo in luoghi più opportuni e non certo a scuola, dove è invece auspicabile sviluppare un pensiero aperto e il più possibile maturo, critico e divergente.

  7. matilda
    19 dicembre 2010 alle 21:58

    Per Rosa,
    permettimimi, ma qualsiasi segno e simbolo caratterizza una cultura e tradizioni a cui si appartiene, è segno di un processo culturale e sociale, che ci ha preceduti o ci appartiene nella contemporaneità, che potrebbe accompagnarci in un possibile futuro. Personalmente ritengo che l’ora di religione a scuola non sia una esigenza errata se inserita dentro un processo di dialogo interculturale, di stimolo e sviluppo della personalità come senso critico e di appartenenza alla socialità, come d’altronde sono invitati a fare gli insegnanti di religione. A volte forse la povertà sta proprio in questo. In una mancanza di sensibilità e di adeguatezza anche nelle cose più ovvie e di brevità.

    • matilda
      19 dicembre 2010 alle 22:03

      Quanto alle scuole private con un ben delineato profilo religioso, è già il più delle volte intesa la scelta di chi le frequenta.

    • Rosa
      20 dicembre 2010 alle 9:13

      Se per te il simbolo è semplicemente un elemento che caratteriszza culture e tradizioni, perchè non sostituire il crocifisso la svastica, o la M di mac Donald? Infondo, il nostro futuro si sta avviando proprio in quella direzione, no?

      In merito alle scuole private gestite da religiosi, non ho niente in contrario. Ognuno, con i propri soldi compra quello che vuole, ma non …..con i soldi degli altri!

  8. 19 dicembre 2010 alle 22:11

    Il Crocifisso non è un amuleto nè un gagliardetto.
    Nè pro nè contro; ognuno emocraticamente si esprima, rispettando le sensibilità di tutte.
    C’è un posto da dove andrebbe senza’appello tolto: dalle aule di giustizie in cui viene offeso costantemente.

    • matilda
      19 dicembre 2010 alle 22:28

      E poi ancora da dove? e cosa ci metteresti invece un bel quadro di Darwin, la Gioconda, i Muppets, ah si ecco, un astrolabio?

    • Rosa
      20 dicembre 2010 alle 9:15

      “Emocraticamente” ha a che fare con un qualche….spargimento di sangue, o volevi dire “democraticamente”? 😆

      • 20 dicembre 2010 alle 9:22

        Secondo libera interpretazione :laugh:

  9. 20 dicembre 2010 alle 8:35

    La copertina di una delle opera più fmose di Erasmo da Rotterdam, per esempio!!!!

    • Rosa
      20 dicembre 2010 alle 9:22

      L’elogio della follia?

      Io ci metterei il ritratto di Kafka!

      • 20 dicembre 2010 alle 9:23

        Sei tu che sei amica dei giudici!

      • Rosa
        20 dicembre 2010 alle 10:16

        Oppure, perché no, il volto di Prassagora. Lei, di giustizia, se ne intendeva! Naturalmente, mettiamo la sua effigie anche….in parlamento!

  10. 20 dicembre 2010 alle 13:28

    Sì veniamo ai crocifissi. Il crocifisso NON è un simbolo cristiano. Lo è, semmai, IL Crocifisso, nella sua esclusiva qualità di segno che salva. Il cristianesimo dunque non ha bisogno di simboli, perché è in sé stesso simbolo, a cominciare dalla persona stessa di Cristo nella sua identità sacramentale di Dio fatto uomo, costituzione simbolica che si trasmette mistericamente al Popolo di Dio.
    Il crocifisso non è neppure un simbolo cattolico, strettamente parlando. Esso è propriamente il simbolo della religione di Stato, cioè di un comune corpo di valori civici condivisi anche e non esclusivamente da molti italiani che si professano cattolici. Un simbolo è il precipitato e la stratificazione di processi culturali, ci ha spiegato Matilda. Un simbolo in quanto prodotto culturale va dunque compreso alla luce della sua storia. In particolare il crocifisso nelle aule scolastiche e dove si celebrano processi è il simbolo di una pacificazione tra Stato e Chiesa (1929, Pio XI)che chiudeva il lungo periodo iniziato col “non expedit” di Pio IX (1868) e del divieto fatto ai cattolici di impegnarsi nella politica attiva dell’Italia liberale. Questa mancata partecipazione dei cattolici alla politica italiana fu una delle cause che precipitarono l’Italia nell'”inutile strage” (Benedetto XV) della prima guerra mondiale.
    Lo stesso discorso va fatto per il segno della croce che compare tuttora nelle bandiere di molte laicissime nazioni europee (inglese, danese, svedese, norvegese, portoghese, greca, svizzera ecc.). L’Italia, anzi, l’ha tolta dalla bandiera repubblicana, anche se ancora compare in alcune bandiere ufficiali italiane, come quella della Marina.
    Le reazioni, sorprendentemente violente, alla richiesta di rimuovere i crocifissi dai luoghi pubblici, venute spesso da parte di persone che non mostrano un particolare attaccamento alla fede, dimostrano che l’Italia è ANCORA un paese cattolico, e aggiungo purtroppo. Di questo cattolicesimo civile inculturato, spesso eccessivamente, nei popoli d’Italia è permeata anche la fede di molti credenti, al punto che è impossibile discernerle nelle singole coscienze e nelle prassi politiche, pedagogiche ecc.
    La costituzione sacramentale del popolo di Dio fa sì che la fede si oggettivi in forme espressive di tipo storico e culturale, senza mai esaurirsi in esse. Rientra dunque nell’onestà della fede quanto nella fedeltà al nostro essere umani riconoscersi PER INTERO nella storia da cui viene quel certo gruppo di credenti cui si appartiene, anche quella che cattiva, che non ci piace, che non avremmo mai voluto che fosse parte nella nostra eredità.

    • matilda
      20 dicembre 2010 alle 17:02

      Caro Giampiero,
      si è cattolici o si diventa cristiani attraverso un battesimo, le eredità personali o culturali sono momenti privati di storia che valgono come testimonianza anche questi. Talune eredità possono essere fastidiose, oberose, inutili o semplicemente insopportabili? E’ una scelta privata, è un momento personale aderirvi. Rispettare i simboli di una tradizione, i valori onesti di un gruppo sociale, non è una necessità, ma un segno reale di apertura dialogica.

    • Rosa
      20 dicembre 2010 alle 17:46

      Il Papa, nel suo discorso, parla del crocifisso come simbolo religioso……

      Allora, Giampiero, che ne pensi? Li togliamo o no questi crocifissi dai luoghi pubblici?
      Pensi che un cristiano abbia bisogno di questi oggetti? certo che no.

      Ho visto così tante volte gente chiedere miracoli a quel pezzo di legno, o tenerlo al collo come un portafortuna, che il Papa stesso dovrebbe imporre una tale censura per riportare i fedeli ad una più consapevole pratica religiosa.

      • 20 dicembre 2010 alle 18:38

        Infatti, il papa sa quello che dice, ed io pure, se mi è permessa una piccola immodestia. Io non ho detto che il crocifisso non è un simbolo religioso, ho detto che non è un simbolo della fede cristiana.
        Poco prima del passo “incriminato” sul crocifisso, il papa usa esattamente queste parole: “Il retto esercizio e il corrispettivo riconoscimento di questo diritto [di libertà religiosa] consentono alla società di avvalersi delle risorse morali e della generosa attività dei credenti”.
        Diciamo così: il crocifisso è una di queste “risorse” simboliche messe dai credenti al servizio di tutti gli italiani. Lasciarlo o toglierlo? Dobbiamo entrare nella logica del dono che c’è dietro la storia del crocifisso. Possono essere solo i cittadini italiani a decidere se questo simbolo per loro rappresenta ancora qualcosa e quindi se continuare accettare ancora questo dono oppure no. Sicuramente non può essere un atto autoritativo a decidere in un senso o nell’altro.

  11. Sebastian
    20 dicembre 2010 alle 19:16

    Si, ma se la maggior parte degli italiani vive di un cristianesimo sintetico pressocchè infantile, come potrebbe essere daccordo a togliere il crocifisso da ogni dove?
    Solo una dimostrazione di incoerenza evangelica, quando c’è, può far cadere le braccia ai paladini di una fede ricca di simboli ma povera di contenuti.

  12. giulia
    20 dicembre 2010 alle 21:36

    Chiedo scusa,
    penso che il crocifisso sia ancora un simbolo di fede,come l’abito religioso per gli ordini religiosi che lo vestono ancora, quanto al cristianesimo predicato alla ricchezza o povertà nei simboli e nel culto, baderei più alla povertà di contenuti del predicatore. L’attenzione ai bisogni e alle reali necessità dei singoli, senza dimenticare il senso e la vocazionalità del proprio ruolo e scelta ,si, vocazionale. Sono già segno e simbolo.

  13. giulia
    20 dicembre 2010 alle 21:38

    Giampiero,
    ho inteso di che parli, ma bada bene.

  14. Sebastian
    20 dicembre 2010 alle 22:21

    La ricerca di Dio va oltre i simboli. I simboli sono solo vincoli da superare.

  15. Rosa
    21 dicembre 2010 alle 9:30

    @Giulia

    Sai, credo che Giampiero non abbia torto quando fa distinzione tra simbolo religioso e simbolo della fede. Non sono la stessa cosa.
    Nel buddismo esiste un simbolo che sintetizza il principio della Legge Mistica su cui si fonda la religione. Questo simbolo è il fiore del loto. Forse ti sarà capitato molte volte di vederlo raffigurato nelle iconografie. La pianta del loto (la ninfea) ha un comportamento alquanto inusuale. Infatti produce il fiore contemporaneamente al frutto. Questo comportamento diventa simbolo nella misura in cui spiega, sintetizza, mostra con semplicità, cioè senza troppe speculazioni filosofiche, la contemporaneità di causa-effetto. Questo è un simbolo di religione e parla in maniera semplice e diretta, anche ad una persona non istruita o incolta, di un concetto a volte difficile da capire.
    Il simbolo della mia fede, però, non può essere il fiore di loto. La fede è completa adesione, permea la vita stessa. Vedrò quindi la Legge Mistica nel fiore, come in ogni cosa che mi circonda. Cioè, non sarà più il fiore del loto a spiegare e raccontare un concetto o un principio, ma sarà la fede a permeare anche quel fiore.

    @Giampiero

    Caro Giampiero, essendo un filosofo, le tue argomentazioni sono sempre molto acute. Non sempre la mia preparazione su argomenti distanti dalla mia vita mi permette di comprendere perfettamente problematiche che riguardano la religione cattolica o di esprimere correttamente i miei pensieri.

    Quà però si dà troppa importanza al simbolo.
    Qualcuno pensa che il Gohonzon buddista sia un simbolo. Ma non è così. Il Gohonzon è un oggetto di culto che esiste nella nostra vita.
    Nichiren che pure lo rese visibile scrivendolo su una pergamena, con inchiostro sumi, disse pure: non cercare mai questo Gohonzon al di fuori di te. Il Gohonzon esiste solo nella carne di recita Nam-mioho- renge-kyo.

    A proposito: “renge” è il fiore di loto.

    • Sebastian
      21 dicembre 2010 alle 12:50

      Scusa, ma contemplate anche “u ciuri i cucuzza (fiore di zucca)? “

      • Rosa
        21 dicembre 2010 alle 13:00

        Certo!
        ……con l’aglio in tegame, o fritto in pestella!

  16. Sebastian
    21 dicembre 2010 alle 13:57

    Inkia manicomio! Sapiddu comu ava a finiri!! 🙂

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