Chiesa e crisi

Si è rilevato da più parti che la crisi sistemica dell’Occidente ha una sua deriva “italiana”. C’è anche un ruolo, ed una responsabilità, giocato dalla Chiesa italiana in questa crisi?
Per rispondere bisogna ripercorrere brevemente  il regno di Giovanni Paolo II, durante il quale la serrata per fronteggiare l’impegno del conflitto decisivo con l’ideologia comunista e la sfida dell’integralismo islamico, con la tentazione di opporvi un’identità forte, furono i principali motivi che hanno condotto all’insofferenza prima, e poi alla disaffezione, per ogni dialettica interna alla Chiesa. All’indomani del crollo del muro di Berlino e considerato vinto il secolare confronto ideologico col marxismo con la fine del blocco comunista, il magistero cattolico, la comunità teologica e gli stessi intellettuali cattolici andarono impreparati alla nuova battaglia contro i nuovi avversari – liberismo, edonismo, ateismo pratico di massa e, più di recente, “relativismo” e “nichilismo” – con scarsa attrezzatura concettuale, la predilezione per il pensiero forte e l’autolesionistica rinuncia ad attingere dall’immenso patrimonio dell’immaginario cristiano. Inoltre, la fine del partito cattolico in Italia, e della sua funzione di mediazione tra politica e gerarchie ecclesiastiche, spinse la conferenza episcopale italiana a giocare direttamente un ruolo in politica facendo valere il peso della propria capillare presenza nel territorio. Si è assistito così in Italia a strani fenomeni di reciproci mimetismi, come quello degli atei devoti e dei teocon, o al fenomeno della doppia morale, per cui, per mera convenienza politica, personaggi dalla dubbia eticità personale e politica o portatori di residui di fascismo o di ideologie semipagane hanno potuto presentarsi come paladini dell’identità cristiana degl’italiani.

Cover of "The Church"

New York, La Cattedrale di San Patrizio nella locandina di un film

L’assunto di partenza, errato, è che in Italia –  come del resto in Europa, fatte le debite differenze confessionali – la società sia tuttora naturaliter christiana e che sia sufficiente espungerne i pochi elementi estranei o riesumare qualche ben piazzata suggestione simbolica perché essa torni a riconoscersi tale. La nuova evangelizzazione è così diventata l’etichetta impropria di un programma di catechizzazione della cultura, cominciando dalle classi politiche e dai ceti dirigenti. La speranza è quella di riuscire, in questa logica discendente, a far giungere ad ogni ceto sociale questo “rinnovamento” culturale.

Proprio questa scelta di privilegiare la visibilità politica e lo scontro tra cultura religiosa e laica per ristabilire un’egemonia culturale del cattolicesimo in Italia ha spinto sempre più il cattolicesimo verso il localismo e il passatismo che attualmente lo contraddistinguono, spingendo lontano i cattolici dal vivo del dibattito culturale e politico europeo. Lo scarso successo ottenuto, soprattutto in Italia, è comunque potuto apparire a qualcuno pericolosamente incoraggiante, perché il liberismo ha nella propria dotazione ereditaria, soprattutto nel razionalismo, proprio quegli elementi filosofico-dottrinali scelti dalla Chiesa per combatterli; mentre relativismo e nichilismo, lo stesso ateismo pratico, rispondono a una matrice culturale che affonda parzialmente le sue radici nel cristianesimo.
In compenso la stessa comunità ecclesiale vive immersa in questo magma culturale. Liberismo, nichilismo ed edonismo sono inevitabilmente anche nella Chiesa. Qui sta il nodo forse principale di tutta la questione. La Chiesa romana, che nei pontificati postconciliari ha incarnato soprattutto le “tre anime” dell’Europa cristiana, nell’ultimo scorcio del millennio si è rifiutata di vedere sé stessa coinvolta nel processo di secolarizzazione e di leggere queste dinamiche di trasformazione della società nei termini inclusivi di un conflitto interno alla coscienza ecclesiale. Invece di puntare ad un modello di liberazione, cominciando dal proprio interno, la cosiddetta nuova evangelizzazione ha operato scelte strategiche estranee alla logica teologale della kènosis, che le sarebbe propria.

Ha suscitato di recente molto scalpore e accese polemiche un episodio venuto di recente a conoscenza dell’opinione pubblica che è in un certo senso riassuntivo di quanto stiamo dicendo. L’ex segretario del Governatorato Vaticano, ora Nunzio Apostolico a Washington, il vescovo Monsignor Carlo Maria Viganò, dopo aver risanato il bilancio dello Stato Vaticano, poco prima della sua defenestrazione, scrive una lettera a Benedetto XVI, in cui denuncia vari fatti di malversazione e corruzione interna, con cui si è scontrato nel corso del suo mandato. Viganò accusa, tra gli altri, un gruppo di laici del “Comitato finanza e gestione”, «i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri [della Santa Sede]. Ad esempio – continua Viganò – nel dicembre 2009, in una sola operazione ci fecero perdere 2 milioni e mezzo di dollari». Questo “Comitato”, pur essendo considerato illegale da altre Prefetture vaticane, amministra 300 milioni di dollari di investimenti della Santa Sede all’anno.
Nella successiva risposta diffusa in una nota della sala stampa della Santa Sede (26 gennaio)  il direttore padre Federico Lombardi S. J. si amareggia, considera, valuta, comprende, riconosce, ammette, ammonisce, discerne,  accusa distorsioni, esagerazioni, lamenta faziosità, rammenta gli orari d’apertura e gl’incassi dei Musei Vaticani, si riserva querele,  e finalmente tira il Papa per la giacchetta e richiama tutti all’ordine, ricordando che, su su per Comitati, Prefetture, Prelature, Dicasteri, Gran Cancellieri, Governatorati, Congregazioni e Segreterie di Stato, the buck stops with Him… Ma… sembra non cogliere affatto il nocciolo della questione, che non è per nulla di natura morale, ma teologica, cioè di senso.

Non può apparire a nessuno né credibile né autorevole una Chiesa che, mentre critica la società secolarizzata, si conduce economicamente poi come una qualsiasi multinazionale.  Ecco la contraddizione che sembra sfuggire in questo momento a molti che hanno ruoli di responsabilità nella Chiesa. Quei vertici ecclesiali che, provocati dall’opinione pubblica sulla loro prassi di governo, invece di mostrarsi in stato di permanente riflessione sulle ragioni teologiche  della conduzione pastorale di tutta la Chiesa, minacciano istericamente di rivolgersi alla magistratura, non possono pretendere poi che si riconosca loro un magistero maggiore di un qualsiasi giudice civile chiamato a dirimere liti di condominio. Dovrebbero capire che se l’evasione fiscale da parte di enti ecclesiastici è scandalosa, come ha recentemente ribadito il Card. Bagnasco, lo è ancor di più anche solo rischiare in operazioni finanziarie beni che appartengono, in tutto e per tutto, ai poveri di tutto il mondo.
“Prestate denaro senza aspettarvi nulla in cambio; date a chi non può contraccambiare, chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”: una volta la Chiesa vietava a tutti di prestare denaro a interesse. Non ci aspettiamo ingenuamente che tutto il mondo oggi segua questa regola evangelica che mira a riaffermare il primato dell’uomo sull’economia, ma che almeno la Chiesa stessa lo faccia, eliminando ogni attività puramente speculativa dalla gestione dei beni affidatile, sì.
“Non è lecito dare il pane dei figli ai cani”. La speculazione finanziaria col denaro della Chiesa è togliere il pane di bocca ai poveri per darlo in pasto agli straricchi del mondo. “Non date perle ai porci”. Il denaro deve bruciare nella mano della Chiesa e non le dev’essere lecito neppure trattenerlo un minuto di più dello stretto necessario a ridistribuirlo: “Non trattenere la sera presso di te il salario del povero, perché egli è povero e non ha di che vivere”. Rischiare il denaro per fare fruttare altro denaro significa rendersi complici di tutto lo sfruttamento e l’oppressione dei poveri che nel frattempo il capitale produce, insieme agl’interessi.
La pretesa finanziaria di monetizzare il futuro, poi, è peccato contro la speranza: “Non chiedetevi: ‘Cosa mangeremo?’ e ‘Di che cosa ci vestiremo?’; ad ogni giorno il suo affanno”; “Non potete rendere bianco o nero uno solo dei vostri capelli”. Secondo la parabola dei dieci talenti fare speculazioni finanziarie col denaro della Provvidenza è più che un male: è una cosa seconda in stupidità (ma di poco) solo al non usarlo affatto. In un’altra è definito stoltezza l’accumulo di beni, in un’altra ancora dedicarsi all’arricchimento è paragonato alla fatica degradante di una bestia da soma.
Abbracciare nella pratica – proprio mentre se ne criticano i presupposti relativisti ed il nichilismo, quello che nella crisi odierna si rivela il più cinico e spietato dei dogmi del liberalismo selvaggio, vale a dire  il primato della finanza sull’economia reale, fondata sul lavoro e la solidarietà – è ammettere implicitamente l’inapplicabilità del Vangelo. Fare operazioni finanziarie col denaro donato dai fedeli per il servizio ai poveri equivale a dichiarare il default della Chiesa e del Vangelo stesso. Una vera scelta degli ultimi significherebbe invece liberare l’universalità della comunicazione della salvezza e l’universalità dell’evento Cristo, portando il confronto tra laici e cattolici sul terreno delle rispettive capacità di cooperare e di umanizzare la convivenza sociale.

  1. 3 febbraio 2012 alle 23:41

    Related articles

    Cristiani di fronte alla crisi
    http://www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Db.Presentazione?anno=2011&alt=

    Perché i giovani lasciano la Chiesa?
    E’ noto che molti giovani smettono di essere attivi frequentatori della Chiesa.
    Nel libro “You Lost Me: Why Young Christians are Leaving the Church … and Rethinking Faith,” (Baker Books), è stata esaminata un’ampia… (continua lettura)
    Perché i giovani lasciano la Chiesa?

  2. 4 febbraio 2012 alle 10:05

    «Accanto a questo malcontento per il deterioramento della situazione economica, che è comune alla maggioranza dei Paesi sviluppati, si diffonde tra spagnoli e italiani anche l’evidenza che la classe politica nel suo complesso non è riuscita (forse, collettivamente non ci ha neanche provato) ad essere all’altezza delle circostanze. Lo stesso si può dire delle banche, naturalmente, degli imprenditori, dei sindacati, delle istituzioni europee e della Chiesa».
    (Javier Moreno, Sciascia, l’unione europea e la tirannia del realismo, La Repubblica, 4.2.2012, p. 31)

  3. Tania lazzaro
    4 febbraio 2012 alle 15:33

    Se la Chiesa è in crisi,, è perchè il messaggio di Cristo è ormai troppo lontano da lei. Un abbraccio prof., leggerti è sempre un piacere

    • 4 febbraio 2012 alle 21:23

      Grazie, Doc.

    • 5 febbraio 2012 alle 13:57

      Comunque, la colpa, poveretta, non è della Chiesa, ma di Cristo. Se la pecorella si smarrisce, è sempre il Pastore che la perde. La Chiesa fa quel che può, ma siamo servi inutili. Il Vangelo, com’era solito dire un parroco romano che ho amato moltissimo, Don Gabriele Perlini, è una cosa troppo intelligente per noi uomini.

  4. 5 febbraio 2012 alle 12:24

    … scusate ma per le casse vaticane in quel momento era un problema perdere due milioni e mezzo di dollari?
    fra amici di solito, non si piange mai crisi…

    • 5 febbraio 2012 alle 17:50

      Finché si è amici…
      A Monsignor Viganò, infatti, non si rimprovera di aver detto il falso, ma di non aver tenuto nascosto il vero.

  5. Giovanni
    5 febbraio 2012 alle 15:22

    Giampiero Tre Re :
    Comunque, la colpa, poveretta, non è della Chiesa, ma di Cristo. Se la pecorella si smarrisce, è sempre il Pastore che la perde. La Chiesa fa quel che può, ma siamo servi inutili. Il Vangelo, com’era solito dire un parroco romano che ho amato moltissimo, Don Gabriele Perlini, è una cosa troppo intelligente per noi uomini.

    Siamo servi inutili… ma ogni pastore fa del suo meglio, secondo le proprie capacità, i mezzi e la formazione che gli vengono impartiti! L’Istituzione può perdere un fedele, ma Cristo non perderà mai una sua “pecorella”: diversi sono coloro che oggi perdono fiducia nelle istituzioni ecclesiastiche ma non in Cristo. Certo, può essere una contraddizione dato che Cristo e la Chiesa sono intimamente unite, e conosciamo Cristo attraverso la Chiesa; ma non lo è del tutto perché la Chiesa possiede confini invisibili…!

    • 5 febbraio 2012 alle 18:25

      «Tu promettevi loro il pane celeste, ma, lo ripeto ancora, può esso, agli occhi della debole razza umana, eternamente viziosa ed eternamente abietta, paragonarsi a quello terreno? E se migliaia e diecine di migliaia di esseri Ti seguiranno in nome del pane celeste, che sarà dei milioni e dei miliardi di esseri che non avranno la forza di posporre il pane terreno a quello celeste? […]

      Chi ha diviso il gregge e l’ha disperso per vie sconosciute? Ma il gregge tornerà a raccogliersi, tornerà a sottomettersi, e questa volta per sempre […]

      [Il vecchio Inquisitore] Ha visto che il Prigioniero l’ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: “Vattene e non venir piú… non venire mai piú… mai piú!”. E Lo lascia andare per “le vie oscure della città”. Il Prigioniero si allontana.

      – E il vecchio?

      – Il bacio gli arde nel cuore, ma il vecchio persiste nella sua idea».

      Fëdor M. Dostoevskij, La leggenda del grande inquisitore

      Fëdor M. Dostoevskij, La leggenda del grande inquisitore

  6. 5 febbraio 2012 alle 19:20

    ma Viganò non l’avevano promosso?

    • 6 febbraio 2012 alle 0:20

      Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode. Non potete servire Dio e Mammona.

      Cara Matilda,
      Giuro che non sono mai riuscito ad affezionarmi al taglia e incolla legato alle carriere ecclesiastiche di Don Tizio e Monsignor Caio, che invece, te lo assicuro, costituiscono la principale fonte di trastullo di curie, seminari e sacrestie. «Il Vaticano è un ambiente di lavandaie» mi diceva tanti anni fa uno che se ne intendeva, Mons. Paul Marcinkus, che conobbi bene quando era Presidente del Governatorato.
      Essere Governatore (il Governatorato l’organismo di potere esecutivo dello Stato della Città del Vaticano) è carica assai più prestigiosa di quella di qualsiasi nunzio apostolico, sia pure a Washington. Perciò che Viganò sia stato “promosso” è solo una mezza verità, visto che lui personalmente aspirava a ben altro.
      Inoltre proprio oggi il Giornale (testata appartenente alla stessa proprietà di Libero, per la quale scrive Gianluigi Nuzzi, che ha fatto esplodere il caso Viganò in TV) porta a conoscenza del pubblico le conclusioni dell’inchiesta interna sul caso Viganò, firmata da quattro altissimi prelati, tra cui l’attuale successore di Viganò alla segreteria del Governatorato, l’ex presidente del Governatorato, cioè il capo diretto di Viganò, alla cui poltrona quest’ultimo aspirava, e il presidente attuale, cioè quello che vi siede effettivamente invece di Viganò. Difficile pensare ad una combriccola di fan di Viganò. Risultato: sconfessione totale di Viganò.
      http://www.ilgiornale.it/interni/il_vaticano_sconfessa_vigano_accuse_false/05-02-2012/articolo-id=570550-page=0-comments=1
      Solo che questa sconfessione è così totale che sconfessa pure la tesi del Direttore della Sala Stampa Vaticana, Padre Lombardi, cioè che Viganò sia stato promosso a Washington per i meriti acquisiti da Segretario del Governatorato. Intanto il Giornale, che attraverso il suo direttore Sallusti non fa mistero che gli attacchi portati dal quotidiano a Viganò vengono da una “gola profonda” ben introdotta in Vaticano, rende pubblica la lite giudiziaria in corso tra Carlo Maria Viganò e il fratello Lorenzo, lui pure prete, per motivi di denaro e forse di speculazioni finanziarie dello stesso Carlo Maria Viganò col patrimonio di famiglia.
      http://www.ilgiornale.it/interni/affari_e_guai_famiglia_vescovo_vigano/28-01-2012/articolo-id=569202-page=0-comments=1
      Personalmente ritengo che il Giornale non abbia perso il vizio di praticare il famigerato metodo Boffo, questa volta contro Viganò. Si tratta di spazzatura, sciacallaggio giornalistico, naturalmente. Ma sia nella vicenda attuale che nella precedente, si tratta di sciacallaggi anticlericali possibili solo perché gli ambienti ecclesiastici hanno prestato sia il braccio che il fianco. Visto che queste notizie, tanto le lettere di Viganò al Papa e a Bertone, quanto i documenti sulla “faida” interna ai Viganò, sono propalate dall’interno del Vaticano, con una sapiente regia dal tempismo teatrale perfetto, allora: 1. E’ impossibile credere a Lombardi quando cerca di negare che le liti in Vaticano sono «in profondità» 2. E’ impossibile non chiedersi che fine abbia fatto la carità fraterna dentro le istituzioni centrali della Chiesa cattolica 3. E’ impossibile soprattutto non chiedersi come facciano questi ecclesiastici di altissimo profilo a non accorgersi dell’incompatibilità tra finanza e servizio al Vangelo, alla Chiesa ed al bene comune.
      Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode. Non potete servire Dio e Mammona.

  7. Maurizio Bianco
    6 febbraio 2012 alle 8:38

    Ciao Giampiero,
    è sempre fruttuoso leggerti.

  8. giusy silvia
    6 febbraio 2012 alle 17:39

    Innanzitutto non è mai tardi condividere un obiettivo per ascoltare ed obbedire alla coscienza.
    L’individuo ha bisogno di essere nutrito non solo dell’amiciza, dell’amore per qualcuno che possa ricambiare anche dicendo ” come farei senza di te” il tuo aiuto e stato meraviglioso.
    Questo non avviene, le persone non riconoscono il bene che hanno ricevuto.
    La chiesa è in crisi ……sono d’accordo con te, esistono i poveri, i porci e i sazi ,dobbiamo guardarci e non farci rovinare, ” padre nostro maliberateci dal male” .
    Insieme a te adesso non sono sola ad affrontare questa battaglia.
    Un caro saluto al prof con l’augurio di ritrovarsi anche nei momenti di crisi religiose per eliminare l’emarginazone e favorire l’inserimento sociale creativo, positivo e produttivo.

  9. Fabio
    6 febbraio 2012 alle 22:31

    La speculazione finanziaria è oggi ciò che fino al XIX secolo era il potere temporale. Nel tempo della crisi della politica è la finanza a dominare il mondo. Lo fa senza nemmeno mostrare il suo volto. Questo la rende ancor più simile all’opera del demonio. E’ proprio vero che per la chiesa e per la sua missione questa è una minaccia ancora più grande, se possibile, di ogni minaccia precedente.
    In passato questi nemici sono stati abbattuti dal sacrificio dei santi o dalla provvidenza, ben più potente delle umane resistenze dei governi vaticani. Sarebbe utile una teologia sul buon uso del denaro nel mondo globalizzato. Io penso ad esempio che la libera circolazione delle merci e del denaro non possa prevalere sul rispetto dei dirittI umani. I paesi occidentali dovrebbero accettare di commerciare solo con quegli stati che rispettano almeno condizioni minime dei lavoratori. Perchè non si puó ragionare su una questione di questo genere? Non sarebbe un terreno abbastanza laico e cristiano allo stesso tempo?

    • 8 febbraio 2012 alle 12:48

      Art. 41.

      L’iniziativa economica privata è libera.

      Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

  10. 7 febbraio 2012 alle 20:23

    La fragilità dell’uomo e il cuore di Dio

    Pubblicato da Riccardo Incandela su “Va pensiero” mar 27 dic 11
    http://vapensiero.wordpress.com/2011/12/27/la-fragilita-delluomo-e-il-cuore-di-dio/

    di P. Gianni Notari sj

    Oggi attraversiamo una situazione di crisi che non è solamente economica ma anche sociale, etica, esistenziale. Una crisi che ha messo in discussione la nostra autosufficienza, i nostri stili di vita, il modo di rapportarci alla realtà e che ha richiamato l’attenzione sulla prevaricazione della dimensione economica sugli aspetti affettivi e relazionali dell’esistenza.

    La crisi per molti – i più fragili, gli esclusi – significa perdita di autonomia, affanno, povertà. Le fotografie scattate dagli istituti demoscopici, a tal proposito, danno la misura dell’incidenza del fenomeno e dell’aumento di quanti versano in condizioni di povertà. Cifre dietro le quali vi sono storie di bambini, di uomini e di donne senza risorse, che non possono far fronte alle più elementari esigenze: non possono mangiare, non possono riscaldare la casa o la casa non ce l’hanno più. Il pensiero va alle mense della Caritas sempre più frequentate dai nuovi poveri e a quanti si rivolgono alle parrocchie per trovare ascolto in un mondo che troppo spesso non dedica attenzione alle richieste di aiuto, che volge lo sguardo dai meno fortunati. Questi sono implicitamente considerati i “perdenti”, coloro che hanno “fallito”. Residui, o meglio, “rifiuti”. Le loro esistenze sono “scartate” e private della legittimità di stare a questo mondo.

    Non tutti sono ugualmente colpiti da questa crisi. Alcuni sono più fortunati, riescono a mantenere il proprio tenore di vita e non si curano di chi “cade”.
    Riflettiamo su quello che succede attorno a noi.
    Questo Natale, per tutti, può essere il momento per mettere in discussione un modello di vita basato sul consumo che ci ha portati a perdere di vista gli aspetti più “umani” della nostra esistenza. Come diceva H. Arendt, infatti, «nel processo di miglioramento del mondo abbiamo dimenticato cosa significa vivere». Abbiamo accettato di imprigionare la nostra esistenza nel ruolo di lavoratori e consumatori, relegando ai margini, ai ritagli di tempo, tutte quelle dimensioni relazionali che ci qualificano come persone. I messaggi mediatici da cui siamo bombardati ci dicono che dobbiamo avere, apparire, affermarci. E questi messaggi li seguiamo docilmente, ci seducono quotidianamente, anche se non lo ammettiamo. Li abbiamo fatti nostri e condizionano le nostre scelte più di quella parola di Dio che, invece, dichiariamo di seguire.

    A quella Parola dobbiamo oggi tornare.
    La memoria della nascita di Gesù ci offre la possibilità di non lasciarci schiacciare dalla tristezza e dagli eventi. Perdere “cose”, oggetti, può farci guadagnare l’opportunità di ritornare a una dimensione di relazioni, a una quotidianità che si gioca su ciò che è essenziale.
    Gesù ci indica che questo mondo è veramente tale se ha un cuore: il cuore di Dio.
    Il bambino di cui celebriamo la nascita, infatti, si ripropone ancora come il cuore del mondo e può, se riconosciuto tale, aprire il nostro animo alla possibilità di guardare con più fiducia al futuro. Non possono essere solo le ragioni del mercato ad avere il sopravvento.
    Questo bambino accoglie le nostre sofferenze e, senza cancellare il dubbio che ci affanna, illumina il nostro cuore, ci offre prospettive che vanno al di là delle difficoltà. Ci anima a tal punto da tornare protagonisti delle nostre stagioni di vita. Egli incarna con la sua vita l’amore; non l’indifferenza, l’egoismo e la sopraffazione. Ci insegna a non volgere lo sguardo dai più poveri, dagli esclusi. A dare nuovi significati al mondo in cui viviamo e a noi stessi.

    Questo momento storico, dunque, deve essere occasione per dare un nuovo senso alla nostra vita; un senso che non sia legato solamente al valore economico ma che, partendo da una ritrovata sobrietà, ci aiuti a incarnare nella quotidianità quei valori evangelici che troppo spesso rimangono principi astratti, declaratorie dietro cui si cela uno stile di vita ipocrita ed egoista.

    Proviamo, in questi giorni, a chiederci cosa significa guardare il mondo con gli occhi di Gesù bambino. Impegniamoci a riflettere su di noi; su quello che siamo; sui nostri “valori”, obiettivi e priorità. Su quelli dichiarati e su quelli effettivamente perseguiti nella quotidianità. Riflettiamo sul nostro mondo, su questa società e proviamo a darci nuove coordinate, a fare qualche cosa di concreto per intervenire sulle tante ingiustizie, ad attivarci perché la nostra città sia migliore, più solidale.
    Una ritrovata sobrietà può aiutarci a cogliere in profondità le ragioni di un Dio che si fa carne della nostra carne; solo la povertà nello spirito, senza l’ossessiva tensione al possesso di cose, ci permette di cogliere la grandezza e il valore dell’amore benevolo di Dio che ci dona suo figlio Gesù.

    È un Natale carico di inquietudine e incertezza. Non lasciamoci, però, sopraffare dalla rassegnazione ma trasformiamo tutto ciò in un momento creativo volto a migliorare l’esistente. Sfruttiamo questo momento di crisi economica per mettere in “crisi” anche i riferimenti sui quali abbiamo troppo spesso passivamente organizzato la nostra vita.
    E chissà che non riusciremo a costruire un futuro più autentico, a imboccare una nuova direzione riscoprendo essenzialità e autenticità.

    P. Gianni Notari

  11. 8 febbraio 2012 alle 13:23

    «Non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi».
    (S. Ambrogio, De Nabuthe, c.12, n. 53: PL 14, 747. Cf. J.R. PALANQUE, Saint Ambroise et l’empire romain, De Boccard, Paris 1933, pp. 336ss).

  12. 8 febbraio 2012 alle 13:24

    «Gli investimenti, da parte loro, devono contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi, quanto a quella futura. Tutti i responsabili di tali investimenti e della organizzazione della vita economica globale – sia singoli che gruppi o pubbliche autorità – devono aver presenti questi fini e mostrarsi consapevoli del loro grave obbligo: da una parte di vigilare affinché si provveda ai beni necessari richiesti per una vita decorosa sia dei singoli che di tutta la comunità; d’altra parte di prevedere le situazioni future e di assicurare il giusto equilibrio tra i bisogni attuali di consumo, sia individuale che collettivo, e le esigenze di investimenti per la generazione successiva. Si abbiano ugualmente sempre presenti le urgenti necessità delle nazioni o regioni economicamente meno sviluppate.
    In campo monetario ci si guardi dal danneggiare il bene della propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre affinché coloro che sono economicamente deboli non siano ingiustamente danneggiati dai mutamenti di valore della moneta».
    CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 70: AAS 58(1966), p. 1093; EV 1/1557-1559

    25. Necessaria all’accrescimento economico e al progresso umano, l’introduzione dell’industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso della responsabilità.
    26. Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale «liberalismo» senza freno conduceva alla dittatura, a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell’«imperialismo internazionale del denaro».(22) Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l’economia è al servizio dell’uomo.(23) Ma se è vero che un certo «capitalismo» è stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa quei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l’accompagnava. Bisogna, al contrario, e per debito di giustizia, riconoscere l’apporto insostituibile dell’organizzazione del lavoro e del progresso industriale all’opera dello sviluppo.
    […]
    58. … La legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate: allora è uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si spiega quindi come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi una legge di giustizia. La cosa cambia, però, quando le condizioni siano divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano «liberamente» sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui messo in causa.
    59. L’insegnamento di Leone XIII nella Rerum novarum mantiene la sua validità: il consenso delle parti, se esse versano in una situazione di eccessiva disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto, e la legge del libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto naturale. Ciò che era vero rispetto al giusto salario individuale lo è anche rispetto ai contratti internazionali: un’economia di scambio non può più poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale.
    (PAULUS PP. VI, Litt. enc. Populorum progressio de populorum progressione promovenda, [Ad Episcopos, ad Sacerdotes, ad Religiosos, ad Christifideles totius Catholici Orbis, itemque ad universos bonae voluntatis homines], 26 martii 1967: AAS 59(1967), pp. 257-299).

  13. 11 febbraio 2012 alle 11:34

    Vaticanleaks

    Nuove presunte rivelazioni sulle lotte interne tra fazioni in Vaticano. Al centro della vicenda questa volta il Card. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, che, secondo la lettera riservata giunta al S. Padre il 30 dicembre scorso, nel corso di un suo viaggio a Pechino nel novembre 2011, avrebbe espresso pesanti valutazioni e commenti sul S. Padre e sul Card. Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
    Secondo la fonte citata dal Fatto Quotidiano, che ha diffuso il documento, Romeo avrebbe in quell’occasione anche confidato di far parte egli stesso, insieme al Papa e al Card. Scola, di una sorta di triunvirato per il governo della Chiesa.
    Avvertiamo però i lettori che di quest’ultima affermazione non si trova traccia nel documento pubblicato dal “Fatto Quotidiano”.

    Qui sotto il documento “confidenziale” nell’originale tedesco. Di seguito la traduzione integrale pubblicata dal “Fatto Quotidiano”.

    STRENG VERTRAULICH
    30.12.2011
    Kardinalstaatseketar Kardinal Tarcisio Bertone
    Kardinal Romeo kritisierte Papst Benedikt XVI. heftig. Er befasse sich überwiegend mit der Liturgie und vernachlässige das ‘Tagesgeschäft’. Dies überlasse Papst Benedikt XVI. Tarcisio Kardinal Bertone, dem Kardinalstaatssekretär der römisch-katholischen Kirche.

    Das Verhältnis zwischen Papst Benedikt XVI. und seinem Kardinalstaatssekretär Tarcisio Bertone sei sehr gespalten. Kardinal Romeo schilderte in vertraulicher Atmosphäre, dass Papst Benedikt XVI. Tarcisio Bertone wortwörtlich hasse und ihn am liebsten durch einen anderen Kardinal ersetzen würde. Romeo ergänzte jedoch, dass es für diese Position keinen anderen geeigneten Kandidaten gebe, und deswegen Kardinalstaatssekretär Bertone leider weiterhin in seinem Amt bleibe.

    Darüber hinaus sei auch das Verhältnis zwischen dem Kardinalstaatssekretär und Kardinal Scola ebenfalls verfeindet und belastet.

    Nachfolge fon Papst Benedikt XVI.:
    Der Heilige Vater befasse sich im Geheimen mit der Frage seiner Nachfolge und habe bereits als geeigneten Kandidaten Kardinal Scola auserwählt, der seiner Persönlichkeit am nächsten entspräche. Ihn würde er langsam aber sicher auf sein Amt als Papst vorbereiten und aufbauen. Kardinal Scola wurde auf Betreiben des Heiligen Vaters – so Romeo – von Venedig nach Mailand versetzt damit er sich von dort aus in Ruhe auf sein Papsttum vorbereiten könne“. Kardinal Romeo brachte seine Gesprächspartner in China immer wieder zum Erstaunen durch die Weitergabe von Indiskretionen.

    Kardinal Romeo verkündete so selbstsicher, so, als wenn er dies genau wisse, dass der Heilige Vater nur noch 12 Monate leben werde. Er prophezeite bei seinen Gesprächen in China den Tod von Papst Benedikt XVI. innerhalb der nächsten 12 Monate. Die Aussagen Kardinals waren als möglicher Wissensträger eines Mordkomplotts so selbstsicher und konsequent vorgetragen, dass seine Gesprächspartner in China aufgeschreckt annahmen, dass auf den Heiligen Vater ein ernstzunehmender Anschlag geplant ist.

    Kardinal Romeo fühlte sich sicher und konnte nicht davon ausgehen, dass seine Aussagen in dieser geheimen Gesprächsrunde über Dritte zurück in den Vatikan getragen werden.
    Genauso selbstsicher prophezeit Romeo dass bereits jetzt schon im Geheimen feststehe, dass der Nachfolger Benedikts XVI. auf jeden Fall ein Kandidat mit italienschen Wurzeln sein werde.
    Wie zuvor beschrieben, betonte Kardinal Romeo, dass Kardinal Scola nach dem Ableben von Papst Benedikt XVI. zum neuen Papst gewählt werden wird“. Doch „auch Kardinal Scola habe bedeutende Feinde im Vatikan.

    Fonte: http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/documento-tedesco-papa
    testo originale vedi:
    http://www.ksta.de/html/artikel/1328863626654.shtml
    http://www.kath.net/detail.php?id=35150

    STRETTAMENTE CONFIDENZIALE 30. 12. 2011

    Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone: Il Cardinal Romeo ha aspramente criticato Papa Benedetto XVI, perché si occuperebbe prevalentemente della liturgia, trascurando gli “affari quotidiani”, affidati da Papa Benedetto XVI al Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato della Chiesa Cattolica Romana. Il rapporto fra Papa Benedetto XVI e il suo Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone sarebbe molto conflittuale. In un’atmosfera di confidenzialità il Cardinale Romeo ha riferito che Papa Benedetto XVI odierebbe letteralmente Tarcisio Bertone e lo sostituirebbe molto volentieri con un altro Cardinale. Romeo ha aggiunto però che non esisterebbe un altro candidato adatto a ricoprire questa posizione e che per questo il Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone continuerebbe a svolgere il suo incarico. Anche il rapporto fra il Segretario di Stato e il Cardinale Scola sarebbe altrettanto avverso e tormentato.

    Successione di Papa Benedetto XVI: In segreto il Santo Padre si starebbe occupando della sua successione e avrebbe già scelto il Cardinale Scola come idoneo candidato, perché più vicino alla sua personalità. Lentamente ma inesorabilmente lo starebbe così preparando e formando a ricoprire l’incarico di Papa. Per iniziativa del Santo Padre – così Romeo – il Cardinale Scola è stato trasferito da Venezia a Milano, per potersi preparare da lì con calma al suo Papato. Il Cardinale Romeo ha continuato a sorprendere i suoi interlocutori in Cina continuando a trasmettere indiscrezioni. Sicuro di sé, come se lo sapesse con precisione, il Cardinale Romeo ha annunciato che il Santo Padre avrebbe solo altri 12 mesi da vivere. Durante i suoi colloqui in Cina ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi. Le dichiarazioni del Cardinale sono state esposte, da persona probabilmente informata di un serio complotto delittuoso, con tale sicurezza e fermezza, che i suoi interlocutori in Cina hanno pensato con spavento, che sia in programma un attentato contro il Santo Padre. Il Cardinale Romeo si sentiva al sicuro e non poteva immaginare che le dichiarazioni fatte in questo giro di colloqui segreti potessero essere trasmesse da terzi al Vaticano. Altrettanto sicuro di sé Romeo ha profetizzato che già adesso sarebbe certo, benché ancora segreto, che il successore di Benedetto XVI sarà in ogni caso un candidato di origine italiana. Come descritto prima, il Cardinale Romeo ha sottolineato, che dopo il decesso di Papa Benedetto XVI, il Cardinale Scola verrà eletto Papa. Anche Scola avrebbe importanti nemici in Vaticano.

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/10/strettamente-confidenziale-per-il-santo-padre/190220/

  14. 11 febbraio 2012 alle 17:35

    …menomale che non ho mai letto dan brown, ma credo ancora a certe teorie di muccaassassina show…
    dalla fantasia ai fatti ne corre però in verità…
    mi auguro che padre e padre sappiano far vedere il muso oltre alle orecchie.

  15. 14 febbraio 2012 alle 2:06

    L’articolo di Marco Lillo pubblicato nella versione on line del Fatto Quotidiano il 13 febbraio scorso riporta testualmente l’incipit della nota “strettamente confidenziale”, recante l’oggetto della nota riservata e le farneticanti affermazioni che il Card. Romeo avrebbe fatto circa l’esistenza di un “triunvirato” a capo della Chiesa, di cui lui stesso farebbe parte, con Scola e Benedetto XVI.

    «Oggetto: Viaggio del Cardinale Paolo Romeo (* 20 febbraio 1938 ad Acireale, Provincia di Catania, Italia), Arcivescovo di Palermo, a Pechino a novembre 2011.

    Durante i suoi colloqui in Cina, il Cardinale Romeo ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi. Le dichiarazioni del Cardinale sono state esposte, da persona probabilmente informata di un serio complotto delittuoso, con tale sicurezza e fermezza, che i suoi interlocutori in Cina hanno pensato con spavento, che sia in programma un attentato contro il Santo Padre.

    Viaggio a Pechino: Nel novembre 2011 il Cardinale Romeo si è recato con un visto turistico a Pechino, dove, di fatto, non ha incontrato nessun esponente della Chiesa Cattolica in Cina, bensì uomini d’affari italiani, che vivono o meglio lavorano a Pechino, e alcuni interlocutori cinesi. A Pechino il Cardinale Romeo ha dichiarato di essere stato inviato personalmente da Papa Benedetto XVI per proseguire, o meglio verificare i colloqui avviati dal Cardinale Dario Castrillón Hoyos a marzo 2010 in Cina. Inoltre ha affermato di essere l’interlocutore designato del Papa per occuparsi in futuro delle questioni fra la Cina e il Vaticano. In un colloquio confidenziale, il Cardinale Romeo ha informato i suoi interlocutori in Cina di aver curato durante la sua attività svolta per conto del Servizio diplomatico della Santa Sede presso le rappresentanze papali nelle Filippine, i contatti con la Chiesa Clandestina RKK 1 e di essere, in virtù di questa sua esperienza, l’interlocutore adatto per curare le questioni fra la Cina e il Vaticano. Inoltre dice di essere stato fra il 1990 e il 1999 Nunzio Apostolico in Colombia e di aver collaborato, proprio in quel periodo, con il Cardinale Castrillón. Il Cardinale Romeo ha sorpreso i suoi interlocutori a Pechino informandoli che lui – Romeo – formerebbe assieme al Santo Padre – Papa Benedetto XVI – e al Cardinale Scola una troika. Per le questioni più importanti, dunque, il Santo padre si consulterebbe con lui – Romeo – e con Scola. Al Cardinale Romeo è stato comunicato da parte cinese quanto segue: Molti Cardinali si sono recati in Cina, ma la visita più importante per il rapporto fra la Cina e il Vaticano è stata quella del Cardinale Dario Castrillón Hoyos a marzo 2010».

    Questo incipit però stranamente non compare nella riproduzione fotografica dell’originale in tedesco mostrata nella stessa pagina on line. Quest’ultima mostra solo la seconda pagina, come si vede dal dettaglio qui di seguito, non la prima, nella quale dovrebbero essere ben visibili anche i “sacri timbri” cui ironicamente accenna Marco Travaglio nel video qui sopra.

  16. mercedario
    20 febbraio 2012 alle 18:06

    Il caro Vescovo Romeo parla sempre assai!

    • 20 febbraio 2012 alle 18:11

      Eh, noi l’avevamo detto in tempi non sospetti!
      Mi fa piacere risentirti.

    • 20 febbraio 2012 alle 23:26

      Ma poi, Eminenza, al di là di ciò che ha veramente detto (che si può sempre smentire) vorrei capire una cosa: ma che ci è andato a fare a Pechino?

  17. 27 febbraio 2012 alle 22:26

    Condivido in pieno la tua riflessione, ben inseribile nel tempo liturgico della Quaresima (v. mio ultimo post). La disponibilità alla “metànoia” non sembra essere una priorità (come si dice oggi) fra i cristiani. per dir così, di basso ed alto lignaggio.

  1. No trackbacks yet.

Lascia un commento