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Quello che Obama non dice. Ambiente, diritti e pace: la crisi dell’Obama-pensiero

Troppo presto e trionfalmente salutata come una certezza, più che una speranza, la promessa politica di Obama nel breve volgere di soli due anni rischia di trasformarsi in una bugia più che in un’illusione. Secondo il principio «the buck stops with me» che guida la sua personale concezione della leadership cui si è attenuto sia a proposito degli abusi di militari americani su prigionieri di guerra iracheni che della discutibile gestione della catastrofe ecologica nel Golfo del Messico, Obama si assume ancora una volta le responsabilità del più generale insuccesso della politica economica di questi primi due anni della sua Amministrazione. In realtà se con la sua gestione della crisi economica non è riuscito a conquistarsi le simpatie dell’elettorato più ricco (che non ha mai avuto) il Presidente sembra essere stato abbandonato anche da buona parte dei suoi stessi elettori. Obama dunque risulta sconfitto soprattutto per non essere stato abbastanza sé stesso: per non aver (ancora) posto una fine onorevole all’avventura afgana in maniera tale che non somigli troppo a una sconfitta (o, peggio ancora, a una fuga); per non essere riuscito a trovare una reale alternativa alle politiche americane in Iraq da lui ricevute in eredità dai governi dei due Bush e infine per l’incoerenza delle sue politiche ambientalistiche.

Ma è la stretta connessione tra diritti umani, crisi ecosistemica e problema della pace e della guerra, stabilito da quel premio Nobel consegnatogli, neppure un anno fa, più come un premio di maggioranza o un credito sulla parola che come riconoscimento alla carriera, a rendere istruttivo ed in certo senso esemplare il ruolo giocato nell’ultima sconfitta elettorale democratica dalle promesse non mantenute da Obama sul tema della tutela ambientale. Per cui sarà utile fare un piccolo passo indietro per cogliere alcuni aspetti strategici dell’ambientalismo di Obama.
Era già successo nel 2007, con Al Gore, che il Nobel per la pace andasse ad un esponente dell’ambientalismo. Lato positivo della cosa è che la questione della pace in quanto diritto sostanziale veniva per la prima volta messa direttamente in connessione con quella della soluzione alla crisi ecosistemica. Ma Barak Obama è stato insignito del Nobel più per quello che diceva di voler fare in ecologia che per gli scarsi risultati fino ad allora raggiunti. Dopo c’è stata la catastrofe del Golfo del Messico…
Ciò che di negativo c’è in questa operazione dei Nobel a Gore e Obama è che essa nasconde la speranza di accelerare la soluzione del problema legandola alla potenza economica statunitense. Una soluzione verticistica, autoritaria, comunque la si voglia mettere.
La questione preliminare che si apre è appunto di priorità tra potere e ambiente. Nella sua campagna per le presidenziali Obama aveva presentato la problematica ambientalista a livello planetario come una sorta di rinnovato New deal. Obama, in altre parole, aveva stabilito una corrispondenza biunivoca tra l’obiettivo di un riequilibrio dell’ecosistema e il prolungamento della leadership politica, economica e scientifica degli USA su scala mondiale anche nel XXI secolo.
Ma quale dei due fini, tra conservazione dell’ambiente e conservazione della leadership mondiale USA, sia finalmente da ritenere al servizio dell’altro, quale dei due dovrebbe farsi prevalere in caso di reciproca incompatibilità o qualora entrassero in conflitto, è una scomoda domanda sulla quale né Obama né Al Gore prima di lui si sono voluti finora pronunciare con chiarezza.
Una filosofia in cui la soluzione della questione ecologica venisse subordinata alle strategie di mantenimento della leadership mondiale di un determinato sistema-Paese sarebbe inesorabilmente legata a una concezione “cartesiana” di dominio sulla natura e destinata a rimanere un approccio ecofilosofico già in partenza inadeguato e superficiale. La volontà di ridurre l’ambiente a una macchina da controllare, infatti, figura storicamente come la principale causa culturale della crisi ecologica. Esporre l’ambiente ad una cura tecnologica sottometterebbe l’ecosistema a dosi sempre più massicce di antropizzazione e di quel tipo di razionalità che è in gran parte la causa della sua crisi.
Il meccanicismo ambientalista, per di più, implicitamente autorizza l’uso della problematica ecologica a fini politici. Impostato in questa maniera, il problema del rapporto tra ambiente e questione politica porterà all’accentuazione del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, o, detto in maniera ecologicamente rilevante, aumenterà il distacco tra paesi a tecnologie avanzate e meno inquinanti e paesi emergenti. Questi avrebbero tutto il diritto a prendere i paesi avanzati come esempio non tanto per le loro attuali virtù ambientaliste, ma come modelli di successo di uno sviluppo basato sull’uso di tecnologie inefficienti e inquinananti, ma a buon mercato, ed efficaci nell’allontanarli dai loro attuali livelli di povertà, dunque politicamente vantaggiosi.
Cina e India meritano, a questo proposito, un discorso a parte: potrebbero essere tentate di approfittare del degrado ambientale servendosene come arma geopolitica, cioè lasciando che maturino “accettabili” margini di peggioramento della crisi ecosistemica per raggiungere ciò che gli USA vorrebbero ottenere contenendola: la leadership (o magari solo “una” leadership) economico-politica mondiale.
Così come appare ovvio all’opinione pubblica mondiale che il Presidente del Paese che è da sempre pioniere dei diritti dell’uomo subordini loro le proprie strategie commerciali e ne esiga il rispetto anche dai propri partner; così come apparirebbe inaccettabile negoziare pragmatisticamente sui diritti, qualunque ne fosse la contropartita, alla stessa maniera dovrebbe apparire ugualmente inaccettabile subordinare l’universale interesse umano per l’equilibrio dell’ecosfera alle politiche industriali di singoli Paesi, fossero anche le locomotive economiche del pianeta.

Legare la questione ambientale ai diritti significherebbe innanzi tutto svincolarla dalle alterne fortune elettorali dei partiti che si contendono le responsabilità di governo di un singolo Paese, ma anche dalle aspirazioni di qualunque potenza ad una leadership mondiale. Obama ha in gran parte ereditato le guerre in Afghanistan e Iraq ma la spinta ambientalista data al Paese dalla sua Amministrazione rischia di non sopravvivere ad una sua mancata rielezione. Prendere troppo a cuore la questione ecologica al punto di farne una questione “americana” può avere esiti contraddittori per gl’interessi dell’umanità (ma anche per una certa linea politica, come si è visto martedì scorso).
L’aver legato le ragioni del proprio ambientalismo alle sorti del primato industriale degli USA più che ai diritti dell’uomo è dunque la vera causa del recente insuccesso elettorale di Obama e dei democratici, perché se è davvero questo primato ad essere la posta in gioco allora le politiche repubblicane appaiono a tale scopo francamente più efficaci. Piuttosto che continuare a dare adito ad ambigue dottrine ambientaliste, che celano in realtà programmi di asservimento dei diritti dell’uomo alla conservazione di un’egemonia economico-scientifico-militare mondiale, Obama dovrebbe dunque dire con chiarezza agli americani che dal primato politico ed economico degli USA discende una loro particolare responsabilità verso l’intero pianeta e le future generazioni. L’aver fatto della lotta allo squilibrio ecosistemico il nuovo perno di un quadro ideologico di dominio planetario, rimasto però per il tutto resto sostanzialmente immutato, non si è finora rivelato un buon servizio reso alla salute del pianeta e ai diritti dell’uomo.
E neppure alla buona causa della pace.

  1. 9 novembre 2010 alle 11:53

    E quindi, considerando solo gli sbagli fatti e non tutte le cose buone fatte sino ad ora da lui (la nuova politica sulla sanità, l’affrontare la crisi economica mondiale tagliando gli stipendi dei manager…il discorso del Cairo, l’intezione di chiudere Guantanamo…cose che nessun presidente americano si era mai sognato di fare fino ad ora (se escludiamo Abramo Lincoln) cosa dovrebbe fare ora per evitare di riconsegnare l’ America ad un nuovo bastardo come Bush o ad una scema coma la Paulin???

    • 10 novembre 2010 alle 12:18

      Guarda che ho tenuto la mano leggera.

      «La Cina è un luogo dove non esiste libertà di espressione, dove l’accesso alle informazioni è limitato dalla censura, dove non si svolgono elezioni e dove la giustizia dipende dalla violenza del potere. Il mondo deve capire cosa significa trasformare un luogo simile nella prima potenza del pianeta».

      «Tutti i leader del mondo devono porre a Pechino il problema della violazione dei diritti umani […] L’atteggiamento globale fa pietà. Arrivano in Cina capi di Stato e di governo e nessuno osa pronunciare in pubblico la parola “diritti umani”. Come possono essere così miopi? […] USA ed Europa sono responsabili della durata e della crescita [del regime cinese]. Governo e società cinesi non sono così efficienti come si dice. Istruzione, ambiente e diritti dei lavoratori sono sacrificati da un sistema inumano […] non durerà a lungo e l’Occidente sarà il primo a pagare il crollo di questa Cina.
      […]Non mi sembra possibile che la Cina scelga [le riforme], ma che il cambiamento ci travolga. È già in atto, davanti a noi, e cambiare è l’unica possibilità per evitare un bagno di sangue. L’umanità ormai è globale. Se i diritti fondamentali vengono cancellati dal denaro e la democrazia cede alla dittatura, presto nessuno sarà più libero. La Cina è lo specchio che riflette il futuro del mondo, non vederlo sarà una tragedia per tutti»

      Queste frasi sono tratte da un’intervista di Giampaolo Visetti a Ai Weiwei, architetto, autore dello stadio olimpico di Pechino e dissidente, uscita sul numero di Repubblica di ieri.

      Mi chiedi cosa dovrebbe fare Obama. Non sono Berlusconi; per dargli consigli c’è già lui.

      Qualcosa tuttavia è detto nell’articolo qua sopra. Aggiungerei che occorre dare ascolto ad Ai Weiwei e liquidare completamente la vecchia politica estera USA: mandare a casa Hillary. Ma non a quella Bianca.

  2. 10 novembre 2010 alle 14:34

    Caro Giampi,
    non vorrei litigare con te, dopo 32 anni di amicizia profonda che ci lega e mai un litigio, solo a causa di Obama….

    tuttavia ti rispondo con uno dei pochi testi integrali dei discorsi di Obama, che sempre più, mi sembra, vengono tagliati o censurati per fargli dire cose che lui in realtà lui non dice. Quello che ti scrivo di seguito é il testo integrale del discorso che pronunciò all’ Onu nel settembre del 2009. Ma, tranquillo, ne cerco altri, e anche se molti sono solo in inglese…(chissà perchè???? Forse perché noi italiani vogliamo fargli dire ciò che non pensa? ) li traduco e te li trascrivo!

    sabato 26 settembre 2009
    OBAMA, DISCORSO ONU SETTEMBRE 09: TESTO INTEGRALE (ITALIANO)
    fonte:

    “THE WHITE HOUSE
    Office of the Press Secretary

    23 Settembre 2009
    Signor presidente, signor segretario generale, illustri delegati, signori e
    signore: è un onore rivolgermi a voi per la prima volta nella qualità di
    quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America. Mi
    presento di fronte a voi col peso della responsabilità che il popolo degli
    Stati Uniti mi ha affidato, consapevole delle enormi sfide di questo
    momento storico e determinato ad agire con ambizione e con il
    concorso di tutti per il bene della giustizia e della prosperità, in patria e
    all’estero.
    Sono in carica da appena nove mesi, anche se certi giorni mi sembra
    che siano molti di più. Sono più che cosciente delle aspettative che
    accompagnano la mia presidenza in tutto il mondo. Queste aspettative
    non hanno nulla a che fare con me. Esse affondano le loro radici – di
    questo sono convinto – in un malcontento nei confronti di uno status
    quo che ha sempre più messo l’accento sulle nostre differenze, e che è
    superato dai nostri problemi. Ma affondano le loro radici anche nella
    speranza, la speranza che un cambiamento vero è possibile, e la
    speranza che l’America possa assumere un ruolo guida nella strada che
    porta a questo cambiamento.
    Sono entrato in carica in un momento in cui tanti, in tutto il mondo,
    vedevano l’America con scetticismo e sfiducia, in parte per percezioni e
    informazioni sbagliate sul mio Paese, in parte perché contrari a
    politiche specifiche e convinti che su certe questioni di primaria
    importanza l’America abbia agito unilateralmente, senza riguardo per
    gli interessi altrui. Tutto questo ha alimentato un antiamericanismo
    quasi istintivo, che troppo spesso è servito come scusa per la nostra
    inazione collettiva.
    Come tutti voi, la mia responsabilità è agire nell’interesse della mia
    nazione e del mio popolo, e non chiederò mai scusa per aver difeso
    questi interessi. Ma sono profondamente convinto che oggi, nel 2009,
    più che in qualsiasi altro momento della storia umana, tutte le nazioni
    e tutti popoli abbiano interessi comuni.
    Le convinzioni religiose che nutriamo nel nostro cuore possono
    forgiare nuovi legami fra le persone o dividerle aspramente. La
    tecnologia che padroneggiamo può illuminare la via per la pace o può
    spengerla per sempre. L’energia che usiamo può alimentare il nostro
    pianeta o distruggerlo. Quel che ne sarà delle speranze di un unico
    bambino, in qualunque parte del mondo, potrà arricchire il nostro
    pianeta o impoverirlo.
    In quest’aula veniamo da molti posti diversi, ma condividiamo un
    futuro comune. Non possiamo più permetterci il lusso di mettere
    l’accento sulle nostre differenze, a scapito del lavoro che dobbiamo
    fare insieme. Ho portato questo messaggio da Londra ad Ankara, da
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    Port of Spain a Mosca, da Accra al Cairo; ed è di questo che parlerò
    oggi. Perché è venuto il momento per il mondo di muoversi in una
    direzione nuova. Dobbiamo entrare in una nuova era di impegno,
    basata su interessi reciproci e sul rispetto reciproco, e il nostro lavoro
    deve cominciare da subito.
    Sappiamo che il futuro sarà determinato dai fatti, e non semplicemente
    dalle parole. I discorsi da soli non risolveranno i nostri problemi,
    servirà un’azione costante. E a coloro che mettono in discussione la
    natura e la causa della mia nazione, chiedo di guardare alle azioni
    concrete che abbiamo compiuto in appena nove mesi.
    Nel mio primo giorno da presidente ho proibito, senza eccezioni e
    senza equivoci, l’uso della tortura da parte degli Stati Uniti d’America.
    Ho ordinato la chiusura della prigione di Guantánamo e stiamo
    lavorando con impegno per creare una struttura che consenta di
    combattere l’estremismo rimanendo nei confini della legalità. Tutte le
    nazioni devono saperlo: l’America saprà essere all’altezza dei suoi
    valori e saprà assumere un ruolo guida attraverso l’esempio.
    Abbiamo stabilito un obbiettivo chiaro e focalizzato: lavorare con tutti i
    membri di questo organismo per contrastare, smantellare e
    sconfiggere al-Qaida e i suoi alleati estremisti, una rete che ha ucciso
    migliaia di persone, di tante fedi e nazioni diverse, e che aveva un
    piano per far saltare in aria questo stesso edificio. In Afghanistan e in
    Pakistan noi, e molte nazioni che sono qui, stiamo aiutando quei
    Governi a sviluppare le capacità per mettersi alla testa di questi sforzi,
    lavorando al tempo stesso per garantire più opportunità e sicurezza
    alla propria gente.
    In Iraq stiamo responsabilmente mettendo fine a una guerra. Abbiamo
    rimosso le unità da combattimento dalle città irachene e abbiamo
    fissato una scadenza, il prossimo agosto, entro la quale rimuoveremo
    tutte le nostre unità da combattimento dal territorio iracheno. E ho
    affermato con chiarezza che aiuteremo gli iracheni nella transizione per
    giungere ad assumersi una piena responsabilità per il proprio futuro, e
    che manterremo il nostro impegno di portare via tutti i soldati
    americani entro la fine del 2011.
    Ho delineato un programma generale per raggiungere l’obbiettivo di un
    mondo senza armi nucleari. A Mosca, gli Stati Uniti e la Russia hanno
    annunciato riduzioni importanti delle testate e dei lanciamissili. Alla
    Conferenza sul disarmo ci siamo accordati su un piano di lavoro per
    negoziare la fine della produzione di materiali fissili a scopo nucleare. E
    questa settimana il mio segretario di Stato diventerà il primo alto
    rappresentante del Governo degli Stati Uniti a presenziare all’annuale
    conferenza degli Stati membri del Comprehensive Test Ban Treaty [il
    trattato che mette al bando gli esperimenti nucleari].
    Appena sono entrato in carica ho nominato un inviato speciale per la
    pace in Medio Oriente, e l’America lavora con costanza e
    determinazione per l’obbiettivo di due Stati – Israele e Palestina –
    dove la pace metta radici e siano rispettati i diritti sia degli israeliani
    che dei palestinesi.
    Per combattere i cambiamenti climatici abbiamo investito 80 miliardi di
    dollari nell’energia pulita. Abbiamo reso molto più stringenti i
    parametri di efficienza per i carburanti. Abbiamo fornito nuovi incentivi
    per la difesa dell’ambiente, abbiamo lanciato una partnership
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    energetica in tutte le Americhe e siamo passati da spettatori a
    protagonisti nei negoziati internazionali sul clima.
    Per sconfiggere una crisi economica che tocca ogni angolo del mondo,
    abbiamo lavorato con le nazioni del G20 per dare vita a una risposta
    internazionale coordinata di oltre duemila miliardi di dollari di misure di
    stimolo, per salvare dal baratro l’economia mondiale. Abbiamo
    mobilizzato risorse che hanno contribuito a prevenire un ulteriore
    allargamento della crisi ai Paesi in via di sviluppo. E insieme ad altri
    abbiamo lanciato un’iniziativa da 20 miliardi di dollari per la sicurezza
    alimentare globale, che tenderà la mano a chi ne ha più bisogno e li
    aiuterà a costruire una capacità produttiva propria.
    E siamo tornati a impegnarci con le Nazioni Unite: abbiamo pagato
    quello che dovevamo; siamo entrati nel Consiglio per i diritti umani;
    abbiamo firmato la Convenzione sui diritti delle persone disabili;
    abbiamo abbracciato pienamente gli Obbiettivi di sviluppo del
    millennio. E affrontiamo le nostre priorità qui, in questa istituzione, ad
    esempio attraverso la riunione del Consiglio di sicurezza che presiederò
    domani sulla non proliferazione e il disarmo nucleare, e attraverso gli
    argomenti che tratterò oggi.
    Questo è quello che abbiamo fatto. Ma è soltanto un inizio. Alcune
    delle nostre azioni hanno prodotto passi avanti. Alcune hanno gettato
    le basi per progressi futuri. Ma una cosa va detta chiaramente: non
    può essere solo uno sforzo degli Stati Uniti. Quelli che prima si
    scagliavano contro l’America perché agiva in solitudine non possono
    ora mettersi da una parte e aspettare che l’America risolva da sola i
    problemi del mondo. Stiamo portando avanti, con le parole e con i
    fatti, una nuova era di impegno con il mondo. Ora è tempo che tutti ci
    prendiamo la nostra parte di responsabilità per una risposta globale a
    sfide globali.
    Se siamo onesti con noi stessi dobbiamo ammettere che in questo
    momento non siamo all’altezza di quella responsabilità. Pensate a
    quello che succederebbe se non riuscissimo a gestire lo status quo:
    estremisti che seminano terrore in varie parti del mondo; conflitti
    prolungati che si trascinano in eterno; genocidi e atrocità di massa;
    sempre più nazioni dotate di armi nucleari; ghiacci che si sciolgono e
    popolazioni devastate; miseria persistente e pandemie. Non dico
    questo per seminare paura, ma per affermare un fatto: le nostre azioni
    non sono ancora commisurate alla portata delle nostre sfide.
    Questo organismo è stato fondato nella convinzione che le nazioni del
    mondo potevano risolvere i loro problemi insieme. Franklin Roosevelt,
    che è morto prima di poter vedere il suo sogno di un’istituzione di
    questo tipo diventare realtà, la descriveva in questi termini: «La
    struttura della pace del mondo non può essere l’opera di un unico
    uomo, o di un unico partito, o di un’unica nazione […] non può essere
    una pace di grandi nazioni, o di piccole nazioni. Dev’essere una pace
    che poggia sullo sforzo cooperativo del mondo intero».
    Lo sforzo cooperativo del mondo intero. Queste parole suonano ancora
    più vere oggi, quando ad accomunarci non è semplicemente la pace,
    ma la nostra stessa salute e prosperità. Ma io so anche che questo
    organismo è composto da Stati sovrani. E purtroppo, ma era
    prevedibile, questo organismo spesso è diventato un forum per
    seminare discordia, invece che per forgiare un terreno comune: un
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    luogo dove mettere in atto giochi politici e sfruttare rancori, invece che
    per risolvere problemi. D’altronde, è facile salire su questo palco e
    puntare il dito, fomentare le divisioni. Non c’è nulla di più facile che
    dare la colpa agli altri dei propri problemi, e autoassolversi dalla
    responsabilità per le proprie scelte e le proprie azioni. Questo lo può
    fare chiunque.
    Per esercitare responsabilità e leadership nel XXI secolo ci vuole di più.
    In un’era in cui il nostro destino è comune il potere non è più un gioco
    a somma zero. Nessuna nazione può o deve cercare di dominare
    un’altra nazione. Nessun ordine mondiale che ponga una nazione o un
    gruppo di persone al di sopra di un altro può avere successo. Nessun
    equilibrio di potere fra nazioni può reggere. La tradizionale divisione
    tra nazioni del Sud e nazioni del Nord non ha senso in un mondo
    interconnesso. E nemmeno hanno senso schieramenti di nazioni
    ancorati alle divisioni di una guerra fredda che è finita da tempo.
    È tempo di rendersi conto che le vecchie consuetudini e i vecchi
    argomenti sono irrilevanti per le sfide che devo affrontare le nostre
    popolazioni. Essi spingono le nazioni ad agire in contrasto con gli
    obbiettivi stessi che sostengono di perseguire, e a votare, spesso in
    questo organismo, contro gli interessi del loro stesso popolo. Essi
    costruiscono muri fra di noi e il futuro che i nostri popoli perseguono,
    ed è giunto il momento di abbattere questi muri. Insieme, dobbiamo
    costruire nuove coalizioni che colmino le vecchie divisioni, coalizioni di
    fedi e convinzioni diverse, tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente, tra
    neri, bianchi e marroni.
    La scelta è nostra. Potremo essere ricordati come una generazione che
    ha scelto di trascinare nel XXI secolo le diatribe del XX, che ha scelto
    di rinviare le decisioni difficili, che ha rifiutato di guardare avanti e non
    è stata all’altezza, perché abbiamo messo l’accento su quello che non
    volevamo invece che su quello che volevamo. Oppure possiamo essere
    una generazione che sceglie di vedere l’approdo oltre la tempesta, una
    generazione che unisce le forze per gli interessi comuni degli esseri
    umani e che finalmente dà un senso alla promessa insita nel nome che
    è stato dato a questa istituzione: le Nazioni Unite.
    Questo è il futuro che l’America vuole, un futuro di pace e prosperità
    che potremo raggiungere solo riconoscendo che tutte le nazioni hanno
    dei diritti, ma anche che tutte le nazioni hanno delle responsabilità.
    Questo è il patto che fa funzionare tutto ciò, questo dev’essere il
    principio guida della cooperazione internazionale.
    Oggi io propongo quattro pilastri fondamentali per il futuro che
    vogliamo costruire per i nostri figli: la non proliferazione e il disarmo;
    la promozione della pace e della sicurezza; la conservazione del nostro
    pianeta; e un’economia globale che dia più opportunità a tutte le
    persone.
    Per prima cosa dobbiamo fermare la diffusione delle armi nucleari e
    perseguire l’obbiettivo di un mondo privo di bombe atomiche.
    Questa istituzione è stata fondata agli albori dell’era nucleare, ed è
    stata fondata anche perché era necessario mettere un freno alla
    capacità dell’uomo di uccidere. Per decenni abbiamo evitato il disastro,
    anche grazie allo stallo fra le due superpotenze. Ma oggi la minaccia
    della proliferazione cresce di portata e di complessità. Se non
    riusciremo ad agire favoriremo una corsa agli armamenti nucleari in
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    tutte le regioni e la prospettiva di guerre e azioni terroristiche di
    proporzioni che riusciamo a malapena a immaginare.
    Sulla strada di questo esito spaventoso si frappone un fragile
    consenso, l’elementare compromesso che è alla base del Trattato di
    non proliferazione, che dice che tutte le nazioni hanno diritto
    all’energia nucleare civile, che le nazioni dotate di armi nucleari hanno
    la responsabilità di procedere verso il disarmo e che le nazioni che non
    dispongono di armi nucleari hanno la responsabilità di rinunciarvi. I
    prossimi dodici mesi saranno decisivi per appurare se questo patto
    verrà rafforzato o se si dissolverà lentamente.
    L’America terrà fede ai patti. Cercheremo un nuovo accordo con la
    Russia per ridurre in modo considerevole le testate e i lanciamissili in
    nostro possesso. Procederemo alla ratifica del trattato per la messa al
    bando degli esperimenti nucleari, lavoreremo insieme ad altri perché
    questo trattato entri in vigore, in modo da giungere a un divieto
    permanente degli esperimenti nucleari. Completeremo una revisione
    della situazione nucleare, che aprirà la porta a tagli più consistenti e
    ridurrà il ruolo delle armi atomiche. E faremo appello alle nazioni per
    avviare a gennaio negoziati su un trattato per mettere fine alla
    produzione di materiale fissile a scopi militari.
    Inoltre, ad aprile organizzerò un vertice per riaffermare la
    responsabilità di ogni nazione di garantire la sicurezza del materiale
    nucleare presente sul proprio territorio, e per aiutare quelli che non ne
    sono in grado: perché non dobbiamo mai consentire che anche un solo
    apparecchio nucleare cada nelle mani di un estremista violento. E
    lavoreremo per rafforzare le istituzioni e le iniziative contro il
    contrabbando e il furto di materiale nucleare.
    Tutto questo mira a sostenere gli sforzi per rafforzare il Trattato di non
    proliferazione. Quelle nazioni che rifiuteranno di ottemperare ai propri
    obblighi dovranno affrontare le conseguenze. Non si tratta di additare
    singole nazioni, si tratta di battersi per i diritti di tutte le nazioni che
    adempiono alle loro responsabilità. Perché un mondo in cui si rifiutano
    le ispezioni dell’Aiea e si ignorano le richieste delle Nazioni Unite
    esporrà tutti noi a un maggiore pericolo, e renderà tutte le nazioni
    meno sicure.
    Con il comportamento mostrato fino a oggi, il Governo nordcoreano e
    quello iraniano minacciano di trascinarci lungo questa china pericolosa.
    Noi rispettiamo i loro diritti in quanto membri della comunità delle
    nazioni. Io credo in una diplomazia che apra la strada a una maggiore
    prosperità e a una pace più sicura per entrambe queste nazioni, se
    sapranno far fronte ai loro obblighi.
    Ma se i governi di Iran e Corea del Nord dovessero scegliere di
    ignorare gli standard fissati a livello internazionale; se dovessero
    anteporre il loro desiderio di entrare in possesso di armi nucleari alla
    stabilità regionale, alla sicurezza, alle opportunità per il loro stesso
    popolo; se fossero dimentichi dei pericoli di un’escalation nucleare sia
    in Asia orientale sia in Medio Oriente, allora dovrebbero essere
    costrette a rispondere del loro operato. Il mondo deve sentirsi unito,
    coeso, e dimostrare che la legalità internazionale non è una vuota
    promessa e che i trattati devono essere applicati e tradotti in realtà.
    Noi dobbiamo insistere su un punto: il futuro non deve cadere preda
    della paura.
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    Ciò mi porta a illustrare il secondo pilastro sul quale si ergerà il
    nostro futuro: il perseguimento della pace. Le Nazioni Unite nacquero
    con la premessa che i popoli della Terra potessero vivere le loro vite,
    mantenere e far crescere le loro famiglie, risolvere le loro divergenze
    in modo pacifico. Purtroppo, però, sappiamo che in troppe aree del
    mondo questo ideale resta pura astrazione. Possiamo accettare che
    questo sia inevitabile, e tollerare continui conflitti destabilizzanti.
    Oppure possiamo ammettere che il desiderio di pace è universale, e
    riaffermare la nostra determinazione a porre fine ai conflitti nel mondo.
    Questo impegno deve iniziare dall’incrollabile principio che
    l’assassinio di uomini, donne e bambini innocenti non sarà mai
    tollerato. Su questo punto non possono esserci polemiche e dispute.
    Gli estremisti violenti che promuovono la guerra distorcendo la loro
    stessa fede hanno perso di credibilità e si sono isolati da soli. Non
    hanno altro da offrire che odio e devastazione. Nell’affrontarli,
    l’America costituirà delle durature partnership, finalizzate a prendere di
    mira i terroristi, mettere in comune le intelligence, coordinare
    l’attuazione pratica della legge e proteggere il nostro popolo. Noi non
    permetteremo che esista alcun rifugio sicuro e inviolabile dal quale al
    Qaeda possa scagliare i suoi attacchi, dall’Afghanistan o da qualche
    altra nazione. Noi ci schiereremo al fianco dei nostri amici e alleati
    sulla linea del fronte, come domani faremo insieme a molte nazioni per
    promuovere aiuti al popolo pachistano. E naturalmente proseguiremo
    in questo impegno positivo, per costruire ponti tra le varie confessioni
    religiose e creare nuove partnership per dare opportunità a tutti.
    I nostri sforzi per promuovere la pace, tuttavia, non possono
    essere limitati a sconfiggere gli estremisti violenti, e questo perché
    l’arma più potente nel nostro arsenale è la speranza degli esseri
    umani, la convinzione che il futuro appartiene a chi lo costruisce, non a
    chi lo distrugge, e perché nutriamo la fiducia che i conflitti possono
    terminare, che una nuova alba può nascere.
    Ecco le ragioni per le quali rafforzeremo il nostro aiuto per
    un’efficace missione di peacekeeping, pur continuando a consolidare i
    nostri sforzi volti a sventare i conflitti prima ancora che esplodano.
    Cercheremo di firmare una pace duratura con il Sudan concedendo
    aiuti alla popolazione del Darfur, e con l’attuazione pratica del
    Comprehensive Peace Agreement, così da garantire al popolo sudanese
    la pace che esso merita. Nei Paesi devastati dalla violenza – da Haiti al
    Congo a Timor Est – lavoreremo accanto alle Nazioni Unite e agli altri
    partner per dare il massimo aiuto per una pace duratura.
    Personalmente continuerò altresì ad adoperarmi per una pace
    giusta e duratura tra Israele, Palestina e mondo arabo. Ieri ho avuto
    un incontro molto costruttivo con il primo ministro Netanyahau e il
    presidente Habbas. Abbiamo fatto qualche passo avanti. I palestinesi
    hanno moltiplicato i loro sforzi miranti a tenere sotto controllo la
    sicurezza. Gli israeliani hanno concesso una maggiore libertà di
    movimento ai palestinesi. Di conseguenza, grazie agli sforzi di
    entrambe le parti, l’economia in Cisgiordania ha iniziato a crescere. Ma
    occorrono altri progressi. Dobbiamo continuare a esortare i palestinesi
    a porre fine all’istigazione alla violenza contro Israele, e continueremo
    a far presente a gran voce che l’America non accetta che Israele
    continui a considerare legittimi gli insediamenti dei coloni nei Territori.
    7
    È venuto il momento di rilanciare i negoziati – senza
    precondizioni di sorta – che affrontino una volta per tutte le questioni
    di sempre: sicurezza per gli israeliani e palestinesi; confini; profughi e
    Gerusalemme. L’obiettivo è chiaro. È quello di due stati che vivono
    l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza: lo stato ebraico di Israele,
    veramente sicuro per tutti gli israeliani; e lo stato palestinese
    indipendente, con un territorio contiguo al primo nel quale abbia fine
    l’occupazione iniziata nel 1967, e che possa consentire ai palestinesi di
    raggiungere il loro pieno potenziale. Mentre ci accingiamo a perseguire
    questo scopo, intendiamo promuovere anche la pace tra Israele e
    Libano, tra Israele e Siria, e più in generale la pace tra Israele e i molti
    Paesi con esso confinanti. Nel perseguire questo obiettivo, intendiamo
    mettere a punto delle iniziative regionali con una partecipazione
    multilaterale, insieme a negoziati bilaterali.
    Non sono un ingenuo. So bene che tutto ciò sarà difficile da
    ottenere. Ma noi tutti dobbiamo decidere se facciamo sul serio
    parlando di pace o se ci limitiamo a far finta di parlare e muoviamo
    soltanto le labbra. Per spezzare i vecchi parametri, per rompere il
    circolo vizioso di insicurezza e disperazione, tutti noi dobbiamo
    dichiarare ufficialmente ciò che ammettiamo a porte chiuse. Gli Stati
    Uniti non rendono un favore a Israele quando mancano di abbinare a
    un risoluto impegno alla sua sicurezza l’istanza che Israele rispetti le
    legittime richieste e i legittimi diritti dei palestinesi. E tutte le nazioni di
    questa Assemblea non rendono un favore ai palestinesi quando costoro
    scelgono di lanciare attacchi al vetriolo invece di una costruttiva
    volontà di riconoscere la legittimità di Israele, e il suo diritto a esistere,
    in pace e in sicurezza.
    Dobbiamo ricordarci che il prezzo più pesante di questo conflitto
    non lo paghiamo noi. Lo paga quella ragazza israeliana che a Sderot ha
    chiuso gli occhi temendo che un razzo le togliesse la vita nel cuore
    della notte. Lo paga quel bambino palestinese di Gaza che non ha
    accesso all’acqua potabile e non ha un Paese che può chiamare patria.
    Questi sono tutti figli di Dio. Al di là della politica, degli atteggiamenti e
    delle posizioni, qui si parla dei diritto di ogni essere umano a vivere
    con dignità e sicurezza. Questa è la lezione di fondo delle tre grandi
    religioni che chiamano Terrasanta quella piccola striscia di terra. Ecco
    perché, malgrado io sappia che ci saranno battute d’arresto, false
    partenza e giorni molto difficili, io non derogherò dal mio impegno
    volto a perseguire la pace.
    Terzo: dobbiamo riconoscere che nel XXI secolo, non ci potrà
    essere pace nel mondo se non ci assumeremo la responsabilità di
    preservare il nostro pianeta. Il pericolo costituito dal cambiamento del
    clima è innegabile, e la nostra responsabilità a farvi fronte è
    indifferibile. Se continueremo lungo l’attuale percorso, ogni membro di
    questa Assemblea assisterà all’interno dei suoi stessi confini a
    cambiamenti irreversibili. I nostri sforzi volti a porre fine ai conflitti
    saranno eclissati dalle guerre per i profughi e per le risorse. Lo
    sviluppo avrà fine, sarà fermato dalla siccità e dalle carestie. La terra
    sulla quale gli esseri umani hanno vissuto per millenni scomparirà. Le
    generazioni future si guarderanno indietro e si chiederanno per quale
    ragione noi ci rifiutammo di agire, perché non riuscimmo a lasciar loro
    8
    in eredità l’ambiente così come noi lo avevamo a nostra volta
    ereditato.
    Quanto ho detto spiega perché i giorni in cui l’America
    tergiversava su queste questioni sono ormai alle spalle. Noi
    procederemo, andremo avanti a investire per trasformare la nostra
    economia energetica, fornendo incentivi per far sì che l’energia pulita
    sia l’energia redditizia nella quale investire. Eserciteremo pressioni da
    ora in poi, taglieremo le emissioni di gas serra per raggiungere gli
    obiettivi fissati per il 2020, e in seguito per il 2050. Continueremo a
    promuovere le energie rinnovabili e l’efficienza energetica,
    condividendo nuove tecnologie con i Paesi di tutto il mondo. E
    coglieremo ogni occasione propizia per il progresso per affrontare
    questa minaccia con uno sforzo concertato con il mondo intero.
    Le nazioni ricche gravemente responsabili dei danni arrecati
    all’ambiente per tutto il XX secolo devono accettare il nostro dovere a
    guidare questa missione. Ma la responsabilità non finisce qui.
    Dobbiamo riconoscere la necessità di risposte differenziate, e ciascuno
    sforzo mirante a ridurre le emissioni di diossido di carbonio deve
    coinvolgere i Paesi che rilasciano CO2 nell’atmosfera a ritmo incalzante
    e che possono fare di più per ridurre l’inquinamento della loro aria
    senza inibire la crescita. Qualsiasi sforzo che trascuri di aiutare le
    nazioni più povere ad adattarsi ai problemi che il cambiamento del
    clima sta già creando e al contempo proseguire verso lo sviluppo lungo
    una strada pulita non funzionerà.
    È difficile cambiare qualcosa di così fondamentale come il modo
    col quale noi utilizziamo l’energia. Ancora più difficile è farlo nel bel
    mezzo di una recessione globale. Sicuramente starcene tranquilli ad
    aspettare in attesa che siano gli altri a intervenire per primi è una bella
    tentazione. Ma non possiamo affrontare questo cambiamento se non
    camminando tutti insieme. Dirigendoci prossimamente a Copenhagen,
    cerchiamo di essere determinati, di concentrarci su ciò che ciascuno di
    noi può fare per il bene del nostro futuro comune.
    Ciò mi conduce a parlare dell’ultimo pilastro sul quale si dovrà
    reggere il nostro futuro: un’economia globale che migliori le
    opportunità di tutti i popoli. Il mondo si sta ancora riprendendo dalla
    peggiore crisi economica che sia mai intervenuta dai tempi della
    Grande Depressione. In America vediamo che il motore della crescita
    sta iniziando ad agitarsi, e malgrado ciò in molti ancora stentano a
    trovare un posto di lavoro o pagare le loro bollette. Nel pianeta stiamo
    vedendo qualche segnale promettente, ma poche sicurezze su che
    cosa ci aspetta di preciso. Ancora troppe persone in troppi luoghi
    vivono le crisi quotidiane che rappresentano una sfida per il comune
    genere umano: la disperazione di uno stomaco vuoto, la sete
    provocata da acqua sempre più carente, l’ingiustizia di un bambino
    agonizzante per una malattia che sarebbe curabile, una madre che
    muore mentre mette al mondo la sua creatura.
    A Pittsburgh lavoreremo con le più grandi economie del mondo
    per delineare una traiettoria per la crescita, affinché sia bilanciata e
    sostenuta. Questo significa vigilare, per garantire che non rinunceremo
    prima che tutti siano tornati a lavorare. Questo significa prendere
    iniziative per rigenerare la domanda, così che una ripresa globale
    possa essere sostenuta. Questo, infine, significa stabilire nuove regole

    9
    per andare avanti e rafforzare i regolamenti per tutti i centri finanziari,
    così da poter porre fine all’avidità, agli eccessi, agli abusi che ci hanno
    sprofondato in questo disastro. Così da evitare che una crisi come
    questa possa verificarsi di nuovo.
    In quest’epoca di massima interdipendenza, noi abbiamo un
    interesse morale e pragmatico preciso nelle questioni legate più in
    generale allo sviluppo. Pertanto porteremo ancora avanti il nostro
    impegno storico mirante ad aiutare tutti i popoli ad avere di che
    sfamarsi. Abbiamo messo da parte circa 63 miliardi di dollari per
    portare avanti la nostra battaglia contro l’Hiv e l’Aids, per evitare che si
    possa ancora morire per tubercolosi e malaria, per sradicare la
    poliomielite, per rafforzare i sistemi sanitari pubblici. Ci stiamo unendo
    agli altri Paesi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per contribuire
    a produrre i vaccini contro il virus dell’H1N1. Integreremo un numero
    maggiore di economie in un sistema di commercio globale. Sosterremo
    gli Obiettivi per lo Sviluppo del Millennio e ci recheremo al Summit
    dell’anno prossimo con un piano globale finalizzato a tradurli in realtà.
    Ci concentreremo sull’obiettivo di sradicare – adesso, nell’arco delle
    nostre stesse vite – la povertà.
    È venuto il momento per noi tutti di fare la nostra parte. La
    crescita non sarà sostenuta o condivisa se tutte le nazioni non
    decideranno di assumersi le proprie responsabilità. Le nazioni più
    ricche devono aprire i loro mercati a un numero maggiore di prodotti e
    tendere una mano a coloro che hanno meno, riformando al contempo
    le istituzioni internazionali per dare a un numero maggiore di nazioni
    una voce più forte. Dal canto loro le nazioni in via di sviluppo dovranno
    sradicare completamente la corruzione che costituisce un ostacolo al
    progresso, perché le opportunità non fioriscono là dove gli individui
    sono oppressi, dove per fare affari è necessario pagare bustarelle. Per
    tutto ciò noi daremo aiuto e sostegno alle polizie oneste, ai giudici
    indipendenti, alla società civile, al settore privato. Il nostro obiettivo è
    semplice: un’economia globale, nella quale la crescita sia sostenuta,
    nella quale le opportunità siano accessibili a tutti.
    I cambiamenti che vi ho illustrato oggi non saranno raggiungibili
    facilmente. Non saranno raggiunti semplicemente da leader che come
    noi si ritrovano in riunioni come questa, perché come in qualsiasi altra
    Assemblea, il vero cambiamento potrà aver luogo soltanto grazie ai
    popoli che noi qui rappresentiamo. Ecco per quale ragione dobbiamo
    accollarci il duro lavoro di gettare le basi e le premesse per il progresso
    nelle nostre rispettive capitali. Ecco perché dobbiamo costruire un
    consenso che ponga fine ai conflitti e pieghi la tecnologia a scopi di
    pace, per cambiare il modo col quale utilizziamo l’energia, per
    promuovere la crescita che può essere sostenuta e condivisa.
    Io credo che i popoli della Terra vogliano questo futuro per le
    loro discendenze. E questo fa sì che noi si debba diventare
    propugnatori e paladini di questi principi, che garantiscono che i
    governi riflettono la volontà dei rispettivi popoli. Questi principi non
    possono essere ripensamenti: la democrazia e i diritti umani sono di
    cruciale importanza per il raggiungimento di ciascuno degli obiettivi di
    cui ho parlato oggi. Perché i governi del popolo ed eletti dal popolo
    hanno maggiori probabilità di operare nell’interesse generale del loro
    popolo più che per i bassi interessi di coloro che sono al potere.
    10
    La nostra leadership non sarà valutata in rapporto al grado col
    quale abbiamo alimentato paure e odi tra i nostri popoli. La vera
    leadership non sarà valutata dall’abilità con la quale si seminano
    dissenso e zizzania, si intimidiscono o si perseguitano le opposizioni
    nei nostri rispettivi Paesi. I popoli della Terra vogliono un
    cambiamento. Non tollereranno a lungo coloro che si schierano dalla
    parte sbagliata della Storia.
    La Carta di questa Assemblea specificatamente impegna
    ciascuno di noi – cito testualmente – a “riaffermare la fede nei diritti
    fondamentali dell’uomo, nel valore della persona umana e
    nell’eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne”. Tra questi diritti
    vi è la libertà di parlare e pregare come si desidera; la promessa di
    eguaglianza tra le razze, e la possibilità per le donne e le bambine di
    cercare di raggiungere il loro pieno potenziale; la possibilità per i
    cittadini di poter dire la loro su come intendono essere governati, e di
    avere fiducia nell’amministrazione della giustizia. Per lo stesso motivo
    per cui nessuna nazione dovrebbe essere costretta ad accettare la
    tirannia di un’altra nazione, così nessun essere umano dovrebbe essere
    costretto ad accettare la tirannia del suo stesso governo.
    Da afro-americano, non dimenticherò mai che non sarei qui oggi
    se nel mio Paese non ci fosse stato un impegno determinato a
    perseguire un’unione più perfetta. Ciò mi induce a credere fermamente
    che a prescindere da quanto cupo possa essere il giorno, coloro che
    hanno scelto di essere dalla parte della giustizia possono produrre un
    cambiamento e una trasformazione. Io prometto che l’America sarà
    sempre dalla parte di coloro che si battono per la loro dignità e i loro
    diritti, dello studente che vuole imparare, dell’elettore che chiede di
    essere ascoltato, dell’innocente che anela a essere liberato, e
    dell’oppresso che brama l’uguaglianza.
    La democrazia non può essere imposta a nessuna nazione
    dall’esterno: ciascuna società deve tracciarsi il proprio cammino e
    nessun cammino è perfetto. Ciascun Paese deve tracciarsi un cammino
    radicato nella cultura del proprio popolo e – in passato – l’America
    troppo spesso è stata selettiva nel promuovere la democrazia a suo
    piacere. Ciò non indebolisce affatto il nostro impegno: al contrario, lo
    rafforza. Ci sono principi di base, universali. Ci sono verità certe, che
    sono palesi. E gli Stati Uniti non derogheranno mai dal proprio sforzo
    volto ad affermare il diritto dei popoli, ovunque essi siano, a decidere
    del loro stesso destino.
    Sessantacinque anni fa, uno sfinito Franklin Roosevelt si rivolse
    al popolo americano nel suo quarto e ultimo discorso inaugurale. Dopo
    anni di guerra, egli cercò di trarre le lezioni che si potevano trarre dai
    terribili avvenimenti vissuti, dagli enormi sacrifici compiuti, e disse:
    «Abbiamo imparato a essere cittadini del mondo, membri del genere
    umano».
    Le Nazioni Unite furono create da uomini e donne come
    Roosevelt, di ogni angolo della Terra, provenienti dall’Africa e dall’Asia,
    dall’Europa e dalle Americhe. Quegli artefici della cooperazione
    internazionale avevano un idealismo tutt’altro che ingenuo e utopistico,
    radicato com’era nelle dure lezioni imparate dalla guerra, nella
    consapevolezza che le nazioni avrebbero potuto portare avanti i loro
    rispettivi interessi agendo insieme, invece che divise.
    11
    Adesso è giunto il nostro turno, perché questa istituzione sarà
    ciò che noi ne faremo. Le Nazioni Unite fanno del bene straordinario
    nel mondo, sfamando gli affamati, curando i malati, ricostruendo i
    luoghi distrutti. Ma è pur vero che questa istituzione fa fatica a
    tradurre in realtà la propria volontà e a vivere all’altezza degli ideali dei
    suoi fondatori.
    Io credo che queste carenze non siano una ragione sufficiente a
    staccarci da questa istituzione. Sono anzi un richiamo a raddoppiare i
    nostri sforzi. Le Nazioni Unite possono essere la sede nella quale
    litigare per istanze del passato, oppure la sede nella quale costruire
    un terreno comune. Possono essere la sede nella quale concentrarci su
    ciò che ci separa, oppure la sede nella quale concentrarci su ciò che ci
    tiene insieme; la sede nella quale lasciare che i tiranni prosperino o la
    fonte di un’autorità morale. In sintesi: le Nazioni Unite possono essere
    un’istituzione slegata da ciò che conta davvero per la vita dei nostri
    popoli o diventare indispensabili per portare avanti gli interessi dei
    popoli al servizio dei quali noi siamo.
    Abbiamo raggiunto una fase epocale. Gli Stati Uniti sono pronti a
    dare inizio a una nuova fase di cooperazione internazionale, nella
    quale si riconoscano i diritti e le responsabilità di tutte le nazioni.
    Fiduciosi nella nostra causa, disposti a impegnarci per i nostri valori,
    facciamo appello a tutte le nazioni affinché si uniscano a noi per
    costruire il futuro che i nostri popoli meritano. Grazie”.
    Traduzione di Anna Bissanti e Fabio Galimberti

  3. 10 novembre 2010 alle 15:45

    Discorso integrale di Obama sulla riforma della sanità
    22/3/2010 Intervento del Presidente del voto alla Camera sulla riforma di assicurazione sanitaria

    (la traduzione è mia, perdonate gli errori, ma non esiste una traduzione integrale di questo importantissimo discorso di Obama in italiano, il ché la dice lunga sui nostri interessi a sapere realmente ciò che lui dice…)

    Ho intervallato le frasi in inglese alla traduzione, in modo che chi conosce bene l’inglese può verificarne la corrispondenza effettiva e anche correggere le mie inesattezze. 🙂

    WASHINGTON – DOCUMENTO
    “Good evening, everybody. Tonight, after nearly 100 years of talk and frustration, after decades of trying, and a year of sustained effort and debate, the United States Congress finally declared that America’s workers and America’s families and America’s small businesses deserve the security of knowing that here, in this country, neither illness nor accident should endanger the dreams they’ve worked a lifetime to achieve. Tonight, at a time when the pundits said it was no longer possible, we rose above the weight of our politics. We pushed back on the undue influence of special interests. We didn’t give in to mistrust or to cynicism or to fear. Instead, we proved that we are still a people capable of doing big things and tackling our biggest challenges.

    Buona sera a tutti. Stasera, dopo quasi 100 anni di chiacchiere e di frustrazione, dopo decenni di tentativi, e un anno di impegno e di dibattito continuo, il Congresso degli Stati Uniti ha infine dichiarato che gli operai e le famiglie e le piccole imprese in America meritano la sicurezza di sapere che qui, in questo paese, né malattia né infortuni devono pregiudicare i sogni di coloro che hanno lavorato una vita intera per raggiungerli. Stasera, in un momento in cui gli esperti hanno detto che non era più possibile, abbiamo sentito tutto il peso della nostra politica. Abbiamo spinto indietro l’indebita influenza di interessi particolari. Noi non cediamo alla sfiducia o al cinismo o alla paura. Invece, abbiamo dimostrato che siamo ancora un popolo capace di fare grandi cose e affrontare le nostre sfide più grandi.

    We proved that this government — a government of the people and by the people — still works for the people. I want to thank every member of Congress who stood up tonight with courage and conviction to make health care reform a reality. And I know this wasn’t an easy vote for a lot of people. But it was the right vote. I want to thank Speaker Nancy Pelosi for her extraordinary leadership, and Majority Leader Steny Hoyer and Majority Whip Jim Clyburn for their commitment to getting the job done. I want to thank my outstanding Vice President, Joe Biden, and my wonderful Secretary of Health and Human Services, Kathleen Sebelius, for their fantastic work on this issue. I want to thank the many staffers in Congress, and my own incredible staff in the White House, who have worked tirelessly over the past year with Americans of all walks of life to forge a reform package finally worthy of the people we were sent here to serve.

    Abbiamo dimostrato che questo governo – un governo del popolo e dal popolo – lavora ancora per il popolo. Voglio ringraziare tutti i membri del Congresso che si sono alzati in piedi stasera con coraggio e convinzione per fare della riforma sanitaria una realtà. E so che questo non era un voto facile per un sacco di gente. Ma è stato un voto giusto. Voglio ringraziare Speaker Nancy Pelosi per la sua straordinaria leadership, e il leader della maggioranza Steny Hoyer e Maggioranza Whip Jim Clyburn per il loro impegno per ottenere questo risultato. Voglio ringraziare il mio eccezionale vice presidente, Joe Biden, e la mia meravigliosa Segretaria per la Salute ed i Servizi Umani, Kathleen Sebelius, per il loro fantastico lavoro su questo tema. Voglio ringraziare molti membri dello staff al Congresso, ed il mio personale incredibile staff alla Casa Bianca, che hanno lavorato instancabilmente nell’ ultimo anno con gli americani di ogni estrazione sociale per forgiare un pacchetto di riforme finalmente degno del popolo che siamo stati mandati qui a servire.

    Today’s vote answers the dreams of so many who have fought for this reform. To every unsung American who took the time to sit down and write a letter or type out an e-mail hoping your voice would be heard — it has been heard tonight. To the untold numbers who knocked on doors and made phone calls, who organized and mobilized out of a firm conviction that change in this country comes not from the top down, but from the bottom up — let me reaffirm that conviction: This moment is possible because of you. Most importantly, today’s vote answers the prayers of every American who has hoped deeply for something to be done about a health care system that works for insurance companies, but not for ordinary people. For most Americans, this debate has never been about abstractions, the fight between right and left, Republican and Democrat — it’s always been about something far more personal.

    Il voto di oggi risponde ai sogni di tanti che hanno combattuto per questa riforma. Per ogni singolo americano che ha avuto il tempo di sedersi e scrivere una lettera o una e-mail sperando che la sua voce sarebbe stata ascoltata: è stato sentito stasera. Per il numero incalcolabile di persone che bussavano alle nostre porte e hanno fatto telefonate, che hanno organizzato e mobilitato da una ferma convinzione che il cambiamento in questo paese non viene dall’alto verso il basso, ma dal basso verso l’alto – fatemi ribadire questa convinzione: questo momento è possibile grazie a voi. Soprattutto, il voto di oggi risponde alle preghiere di ogni americano, che ha sperato profondamente in qualcosa da cambiare in un sistema sanitario che funziona per le compagnie di assicurazione, ma non per la gente comune. Per la maggior parte degli americani, questa discussione non è mai stata su astrazioni, la lotta tra destra e sinistra, repubblicani e democratici – è sempre stata su qualcosa di molto più personale.

    It’s about every American who knows the shock of opening an envelope to see that their premiums just shot up again when times are already tough enough. It’s about every parent who knows the desperation of trying to cover a child with a chronic illness only to be told “no” again and again and again. It’s about every small business owner forced to choose between insuring employees and staying open for business. They are why we committed ourselves to this cause. Tonight’s vote is not a victory for any one party — it’s a victory for them. It’s a victory for the American people. And it’s a victory for common sense. Now, it probably goes without saying that tonight’s vote will give rise to a frenzy of instant analysis. There will be tallies of Washington winners and losers, predictions about what it means for Democrats and Republicans, for my poll numbers, for my administration.

    Si tratta di ogni americano che conosce lo shock di aprire una busta e vedere che il suo premio assicurativo si è innalzato a dismisura nuovamente quando i tempi sono già sufficientemente difficili. Si tratta di ogni genitore che conosce la disperazione di cercare di curare il proprio bambino affetto da una malattia cronica solo per sentirsi dire “no” ancora e ancora e ancora. Si tratta di ogni piccolo imprenditore costretto a scegliere tra la copertura assicurativa dei propri lavoratori e il rimanere aperti come impresa. Essi sono il motivo per cui ci siamo impegnati in questa causa. Il voto di stasera non è una vittoria per un partito – è una vittoria per loro. E’ una vittoria per il popolo americano. Ed è una vittoria del buon senso. Ora, probabilmente va da sé che il voto di stasera darà luogo ad una frenesia di analisi immediata. Ci saranno riscontri dei vincitori e dei perdenti a Washington, le previsioni su ciò che significa per i Democratici e Repubblicani, per il mio numero di scrutinio, per la mia amministrazione.

    But long after the debate fades away and the prognostication fades away and the dust settles, what will remain standing is not the government-run system some feared, or the status quo that serves the interests of the insurance industry, but a health care system that incorporates ideas from both parties — a system that works better for the American people. If you have health insurance, this reform just gave you more control by reining in the worst excesses and abuses of the insurance industry with some of the toughest consumer protections this country has ever known — so that you are actually getting what you pay for. If you don’t have insurance, this reform gives you a chance to be a part of a big purchasing pool that will give you choice and competition and cheaper prices for insurance. And it includes the largest health care tax cut for working families and small businesses in history — so that if you lose your job and you change jobs, start that new business, you’ll finally be able to purchase quality, affordable care and the security and peace of mind that comes with it. This reform is the right thing to do for our seniors.

    Ma molto tempo dopo che la discussione si sarà affievolita, la prognosi sarà svanita e la polvere si sarà deposita, quello che resterà in piedi non sarà il sistema gestito dal governo che alcuni temevano, o lo status quo che serve gli interessi del settore assicurativo, ma un sistema di assistenza sanitaria che incorpora idee da entrambe le parti – un sistema che funziona meglio per il popolo americano. Se avete l’assicurazione sanitaria, questa riforma avrà appena dato un maggiore controllo per imbrigliare i peggiori eccessi e gli abusi del settore assicurativo, con alcune delle protezioni più difficili per consumatore che questo paese abbia mai conosciuto – in modo che i consumatori possano effettivamente ottenere ciò che pagano. Se non avete l’assicurazione, questa riforma vi dà la possibilità di far parte di un pool di acquisto grande che vi darà la scelta e la concorrenza e prezzi più bassi per l’assicurazione. E comprende il più grande taglio fiscale dell’ assistenza sanitaria per le famiglie e le piccole imprese nella storia – in modo che anche se si perde il lavoro o si cambia lavoro, o si avviano nuove attività, in ultima analisi il cittadino è in grado di acquistare la qualità della cura a prezzi accessibili, nonché la sicurezza e la pace psicologica che da questa certezza ne derivano. Questa riforma è la cosa giusta da fare per i nostri anziani.

    It makes Medicare stronger and more solvent, extending its life by almost a decade. And it’s the right thing to do for our future. It will reduce our deficit by more than $100 billion over the next decade, and more than $1 trillion in the decade after that. So this isn’t radical reform. But it is major reform. This legislation will not fix everything that ails our health care system. But it moves us decisively in the right direction. This is what change looks like. Now as momentous as this day is, it’s not the end of this journey. On Tuesday, the Senate will take up revisions to this legislation that the House has embraced, and these are revisions that have strengthened this law and removed provisions that had no place in it. Some have predicted another siege of parliamentary maneuvering in order to delay adoption of these improvements.

    Rende Medicare più forte e solvente, estendendo la sua vita da quasi un decennio. E’ la cosa giusta da fare per il nostro futuro. Esso contribuirà a ridurre il nostro deficit di più di $ 100 miliardi nel prossimo decennio, e più di 1.000 miliardi dollari nel decennio dopo. Quindi questa non è una riforma radicale. Ma è una riforma importante. Questa normativa non risolverà tutto ciò che affligge il nostro sistema sanitario. Ma ci si muove decisamente nella direzione giusta. Questo è ciò che cambia aspetto. Ora, così come é importante questo giorno, non è comunque la fine di questo viaggio. Martedì, il Senato revisionerà questa legislazione che il Parlamento ha approvato, e queste sono le revisioni che hanno rafforzato questa legge e rimosse le disposizioni che non avevano posto in esso. Alcuni hanno previsto un altro assedio alla manovra parlamentare, al fine di ritardare l’adozione di questi miglioramenti.

    I hope that’s not the case. It’s time to bring this debate to a close and begin the hard work of implementing this reform properly on behalf of the American people. This year, and in years to come, we have a solemn responsibility to do it right. Nor does this day represent the end of the work that faces our country. The work of revitalizing our economy goes on. The work of promoting private sector job creation goes on. The work of putting American families’ dreams back within reach goes on. And we march on, with renewed confidence, energized by this victory on their behalf. In the end, what this day represents is another stone firmly laid in the foundation of the American Dream. Tonight, we answered the call of history as so many generations of Americans have before us. When faced with crisis, we did not shrink from our challenge — we overcame it. We did not avoid our responsibility — we embraced it. We did not fear our future — we shaped it. Thank you, God bless you, and may God bless the United States of America.

    Mi auguro che non sarà così. E ‘il momento di portare questa discussione al termine e iniziare il duro lavoro di attuare questa riforma correttamente in nome del popolo americano. Quest’anno, e negli anni a venire, abbiamo la solenne responsabilità di farlo bene. Né questo giorno rappresenta la fine del lavoro che deve affrontare il nostro paese. Il lavoro di rivitalizzare la nostra economia va avanti. Il lavoro di promozione della creazione di posti di lavoro del settore privato continua. Il lavoro di mettere i sogni di nuovo alla portata delle famiglie americane va avanti. E noi andiamo avanti, con rinnovata fiducia, rivitalizzati da questa vittoria per conto loro. Stasera, abbiamo risposto alla chiamata della storia come tante generazioni di americani hanno davanti a noi. Di fronte alla crisi non siamo fuggiti – l’ abbiamo affrontata. Non ci siamo sottratti alle nostre responsabilità – le abbiamo abbracciate. Non abbiamo paura del nostro futuro – gli abbiamo dato una forma. Grazie, Dio vi benedica e Dio benedica gli Stati Uniti d’America”.

  4. giulia
    10 novembre 2010 alle 17:22

    Scusate davvero pare scritto in italiano, purtuttavia, Jo?

  5. 11 novembre 2010 alle 9:18

    Giulia…mi sorprende che tu sia disattenta….e l’attenzione é una qualità femminile, non maschile…. 🙂

    Il primo discorso che ho trascritto, quello pronunciato davanti all’ Onu nel settembre 2009 era l’unico discorso integrale che era stato tradotto da dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, se escludiamo quello bellissimo pronunciato al Cairo, che ha postato Giampiero già diverso tempo fa su TdN; mentre il secondo, quello sulla riforma sanitaria del marzo 2010, l’ho tradotto io…perché non esiste una traduzione integrale ma solo dei piccoli stralci. Infatto, se tu cerchi il discorso fatto all ‘Onu quest’anno trovi solo degli stralci, e pure il discorso fatto in India pochi giorni fa non è stato tradotto…

    E si sa che noi italiani non siamo molto esperti nella conoscenza delle lingue straniere….per cui…anche il gioco dei giornalisti é quello di continuare a tenere il popolo nell’ignoranza….propinandoci gossip assurdi come cose essenziali per la nostra vita….

    • 11 novembre 2010 alle 14:09

      Lo stesso effetto manipolatorio lo si può ottenere anche traducendo, oltre che no. Il nostro ministro degli esteri, Frattini, tanto per fare un esempio, nel question time di martedi scorso, traducendo a braccio dall’inglese a beneficio dei parlamentari presenti un documento sostanzialmente critico dell’unione europea sulle inadempienze del nostro governo in fatto di immigrazione, lo ha trasformato in un inno encomiastico semplicemente rendendo al presente tutti i verbi coniugati al futuro nel documento originale (Fonte: Furio Colombo, Il fatto quotidiano, oggi).
      I discorsi di Obama sono sempre di prim’ordine mondiale, ma soprattutto se paragonati a quelli del ceto politico nostrano. Vorrei osservare, però, che il pezzo iniziale di questo forum dedicato ad Obama ed all’ecologia s’intitola: “Quello che Obama non dice”. E quello che non si dice non lo si può neppure tradurre, perché è un po’ come ciò che si fa o non si fa: se ne può solo prendere atto e porsi delle domande.

  6. torietoreri
    11 novembre 2010 alle 12:14

    Vieni a leggere il mio secondo post sulla “Giornata dell’ingenuità” e dai anche tu un contributo alla sua riuscita. Ciao!

  7. giulia
    11 novembre 2010 alle 15:00

    Per Jo e GP
    Si ci penserò. Ci sto pensando

  8. 13 novembre 2010 alle 21:13

    @Giampi e Giulia:
    anch’io penserò a ciò che Obama non dice…opps…dimenticavo che ancora non riesco a leggere nel pensiero altrui…cosa che invece Giampi tu riesci a fare, vero? 😉
    Dai sto scherzando! Concordo invece per ciò che Obama non fa…non è Dio, siamo d’accordo, é solo un essere umano…

    • 13 novembre 2010 alle 21:51

      Ma, in un certo senso, si può leggere “nel pensiero”, ad esempio leggendo tra le righe. O interpretando le omissioni.
      In realtà quello che mi aspettavo è che tu falsificassi la mia tesi citando qualche frase in cui Obama affermi chiaro e tondo la preminenza di un interesse umano universale (come certamente è la tutela dell’equilibrio ecosistemico planetario) sull’aspirazione degli Stati Uniti a conservare la supremazia economico-scientifico e militare mondiale. Vorrei sottolineare che entrambi questi interessi presentano una dimensione di globalità; per questo ci si può interrogare su quale dei due dovrebbe prevalere nel caso (neppure tanto remoto, se la Cina continua a crescere tanto) di un loro eventuale conflitto.
      Questa reticenza ad affermare il primato dell’umanità rispetto alla sovranità di un singolo Paese, del resto, non è solo di Obama. Qui c’è un punto particolarmente interessante del ragionamento di Weiwei. I Paesi europei sono disposti a criticare Obama sul protezionismo delle sue politiche monetarie, ma non dicono nulla quando questa stessa incoerenza si pone sul piano dei diritti umani. Così i Paesi europei si trovano accanto alla Cina nel contestare Obama sull’economia statunitense ma non contestano alla Cina le violazioni sistematiche dei diritti umani. Per non perdere commesse.
      Faccio un altro esempio. Gli USA aspirano a guidare la lotta planetaria contro il riscaldamento globale. Ma fino a che punto Obama è disposto a portare avanti questa strategia? Perché, nonostante il disastro, ha dato altre concessioni a trivellare i fondali del golfo del Messico? Seguendo il suo esempio i siciliani non dovrebbero contestare il presidente della Regione Sicilia, Lombardo, che ha dato agli americani la concessione di continuare a trivellare nella Val di Noto o nei fondali a Sud-est della Sicilia.
      Non ti pare?

  9. 13 novembre 2010 alle 23:43

    Già perché?
    …ci sto riflettendo, ma non mi puoi distruggere così un premio nobel per la pace…
    ……in realtà lui é più bravo a parlare alle folle che non a fare…
    tuttavia quanto é “imbavagliato” dalle lobby petrolifere, ad esempio, difficili da distruggere…di cui Bush & family – ricordiamo – sono massimi esponenti?? Tra lui ed il padre hanno architettato ad arte – mascherando i loro reali interessi circa i pozzi petroliferi – quante (?) 2 guerre…tragicamente inutili ed inopportune???
    Quanto ci ha messo per fare approvare la riforma sulla sanità??? E non certo per causa sua, quanto a causa degli interessi contrari delle lobby delle assicurazioni statunitensi!
    Quante discussioni e interferenze sulla chiusura di Guantanamo? E anche questo, dipende dalla sua volontà o da quella degli oppositori?
    Non penso sia una passeggiata fare il presidente degli U.S.A.!!!
    Dopodiché concordo con te quando dici che:
    “Questa reticenza ad affermare il primato dell’umanità rispetto alla sovranità di un singolo Paese, del resto, non è solo di Obama. Qui c’è un punto particolarmente interessante del ragionamento di Weiwei. I Paesi europei sono disposti a criticare Obama sul protezionismo delle sue politiche monetarie, ma non dicono nulla quando questa stessa incoerenza si pone sul piano dei diritti umani. Così i Paesi europei si trovano accanto alla Cina nel contestare Obama sull’economia statunitense ma non contestano alla Cina le violazioni sistematiche dei diritti umani. Per non perdere commesse.”

    Insomma, tu vorresti che Obama fosse Gesù?
    Non è così, lui è solo il presidente degli Stati Uniti d’ America, un essere umano con una responsabilità enorme sulle spalle….che si è trovato a governare in piena crisi economica mondiale – la più grave dal 1929, nata in America sotto con i presupposti del governo Bush, ricordiamo…. – (ecco il perché del suo protezionismo monetario, altrimenti gli americani se lo mangiano)….che ha ereditato le politiche dell’Afghanistan e dell’ Iraq (volute dai 2 mandati Bush, ricordiamo)…perciò continuo ed insisto: all’America poteva capitare di peggio “Bush 3°!!!!
    Ma siccome gli americani sono stupidi come noi italiani che votiamo e rivotiamo Berlusconi…dopo il mandato di Obama avranno il loro Bush 3”!!!
    E noi italiani a quel punto saremo forse un pò meno invidiosi, perché finalmente potremo dire che il nostro presidente del consiglio sarà forse simile al loro presidente…
    cosa che ora, obiettivamente, non possiamo dire:
    Infatti…..nonostante tutti i “non fatti” di Obama, per via dei pochi ma sostanziosi “fatti” e non solo promesse…continua di gran lunga ed essere meglio del nostro presidente del consiglio e meglio della Merkel, meglio di Sarkozy, di Zapatero e quant’altri!
    E di sicuro meglio dei cinesi….(ma ti pare che Obama stia dalla parte dei cinesi? A me non sembra affatto, nonostante non abbia avuto il coraggio di parlare come Weiwei il quale, tuttavia, non ha la responsabilità di essere il presidente degli Stati Uniti….)
    Di sicuro é un’ovvietà quella che sto dicendo, ossia che le parole e le decisioni del presidente U.S.A. possono influenzare il mondo in bene o in male, le sue decisioni possono permettere al mondo di continuare a vivere in una pace apparente, oppure scatenare una guerra mondiale…tuttavia questa é una di quelle ovvietà vere! Ecco perché Obama non può permettersi di parlare chiaramente come Weiwei a proposito della Cina…anche se (e se lo trovo te lo scrivo il discorso da lui fatto agli studenti cinesi)…tra le righe a me sembra che lui concordi circa l’egemonia economica cinese e la loro mancanza assoluta di rispetto dei diritti umani. Solo che Obama in quel momento stava parlando ai giovani cinesi e se da un lato voleva spronarli ad essere migliori dei loro padri, nel discorso che stava loro facendo… nello stesso tempo era diplomatico per non compromettere i rapporti usa-cina…

    Indi per cui….ti rilancio la palla!

    • 14 novembre 2010 alle 13:20

      Vorrei Obama come Gesù? Al contrario: penso che abbiano nuociuto ad Obama le speranze messianiche preelettorali che gli hanno cucito addosso (ma che forse lui non ha evitato di alimentare: “Yes, we can!”).
      Un’altra cosa: criticare Obama non significa affatto ricredersi sui Bush.
      Obama dovrebbe essere più all’altezza di sé stesso, in questi due anni che gli restano, anche se la situazione ora gli è ancora più ostile, e sperare nel secondo mandato. Ma dovrà davvero troncare anche coi Clinton (cosa forse addirittura più difficile che trattare coi repubblicani), scrollarsi di dosso la nomea di essere un Presidente che non s’intende troppo di politica internazionale e che dev’essere messo sotto tutela da Hillary.
      Sono l’ecologia e i diritti, non più l’economia, il vero tema delle politiche di sinistra del XXI secolo. Negli USA come in Europa.

  10. 15 novembre 2010 alle 9:44

    Che dire? Concordo con te!

  11. 15 novembre 2010 alle 16:30

    No, ci risentiamo al prossimo discorso pubblico di Obama, su cui tu avrai sicuramente da dissentire….
    p.s. ti ho scritto messaggio su fb…
    😉

  12. torietoreri
    20 novembre 2010 alle 19:27

    Come ogni anno, torietoreri (www.torietoreri.splinder.com) lancia una “Giornata” in cui si riflette su un particolare “valore” di cui oggi si sente la carenza. Quest’anno è stata scelta l’ingenuità. Leggi gli ultimi 4 post di torietoreri e aderisci all’iniziativa. Fra poco sarà pubblicato il “logo” della giornata da “postare” sabato 27 novembre nei nostri rispettivi blog.
    Se vuoi, diffondi questa inizaitiva anche ai tuoi “corrispondenti” più vicini. Ciao!

  13. torietoreri
    23 novembre 2010 alle 16:44

    Abbiamo finalmente il logo della “Giornata dell’ingenuità”. Vieni a prenderlo sul mio blog, e diffondilo fra i tuoi “contatti”. Grazie!

  14. torietoreri
    27 novembre 2010 alle 16:40

    Ringrazio quanti hanno già “postato”, gli altri sono ancora in tempo a “postare” sul proprio blog il logo della “Giornata dell’ingenuità” ricavabile da http://www.torietoreri.splinder.com , e ad esprimere una frase o una riflessione sull’argomento. Grazie ancora a tutti!

  15. 29 gennaio 2011 alle 10:08

    GLI USA E L’EUROPA ABBANDONINO I REGIMI CHE HANNO SOSTENUTO

    28 gennaio 2011 — pagina 19 sezione: Mondo

    DUE mesi fa in Egitto si sono svolte elezioni parlamentari truccate. Il partito del presidente Hosni Mubarak ha concesso all’opposizione soltanto il 3 per cento dei seggi, pensate un po’. E la Casa Bianca s’è detta «costernata». Beh, trovo stupefacente che l’America si limiti a esprimere “costernazione”: un termine del tutto inadeguato a descrivere i sentimenti degli egiziani.

    Poi, mentre le proteste s’ingrossavano, ricalcando quelle tunisine, ho sentito il segretario di Stato Hillary Clinton dichiarare che il governo in Egitto è «stabile» e «impegnato nella ricerca di una via per rispondere alle legittime necessità e agli interessi del popolo egiziano». Sono sbigottito e perplesso. Cosa intende per “stabile”? E a che prezzo? Si riferisce forse alla stabilità di 29 anni di leggi di “emergenza”, a un presidente con un potere imperiale da 30 anni, a un Parlamento che è quasi una barzelletta, a un sistema giudiziario niente affatto indipendente? Tutto questo si chiama stabilità? No, davvero.

    Per chi cerca di capire perché gli Stati Uniti non godono di credibilità in Medio Oriente, questa è la risposta. La gente è rimasta profondamente delusa da come la Casa Bianca ha reagito alle elezioni in Egitto. Una volta di più, infatti, ha ribadito che usa due pesie due misure coni propri amici, e si schiera con un regime autoritario solo perché crede che rappresenti i propri interessi. Assistiamo alla disintegrazione sociale, alla stagnazione economica, alla repressione politica, però né americani né europei pronunciano una sola parola.

    Perciò, quando sento dire (dalla Clinton) che il governo egiziano sta cercando un modo per rispondere alle richieste della popolazione, io ribatto: «È troppo tardi!». Non è nemmeno una buona Realpolitik. Abbiamo visto laTunisia, e prima ancora l’Iran. Ci fanno capire che non può esistere stabilità se non è il popolo stesso a scegliere liberamente il proprio governo.

    Ma certo, l’Occidente crede ciecamente che il mondo arabo non abbia altra opzione che quella fra i regimi autoritari o i jihadisti. Ciò è falso. Se parliamo di Egitto, c’è un arcobaleno di personaggi laici, liberali, fautori del libero mercato: se solo potessero organizzarsi, eleggerebbero un governo moderno e moderato.

    Invece di equiparare sempre l’Islam politico ad Al Qaeda, guardate meglio: l’Islam è stato snaturato già 20 o 30 anni dopo il Profeta e interpretato affinché chiunque regni goda di un potere assoluto, e ne risponda soltanto a Dio. Una interpretazione molto conveniente per chiunque governi. Un gruppo di musulmani egiziani ultra-conservatori ha emesso una fatwa, un editto religioso, contro di me, esortandomi al “pentimento” per avere fomentato l’opposizione a Mubarak, e dando licenza al governo di uccidermi.

    Così ripiombiamo nel Medio Evo. Però, nemmeno una parola s’è levata dal governo egiziano.

    Eppure, speravo in un cambiamento con metodi pacifici. Abbiamo raccolto un milione di firme per una petizione a favore di riforme democratiche. Il regime ci ha ignorati. E i giovani hanno esaurito la pazienza. Quel che accade in Egitto è stato organizzato da loro. Io sono rimasto fuori del Paese, poiché è l’unico modo per essere ascoltato. Ma torno, e scendo anch’io in piazza. Non ci sono alternative. Per la gente non è più possibile collaborare col governo di Mubarak, cheè al potere da 30 anni, ne ha 82. È giunta l’ora del cambiamento. Gli egiziani hanno abbattuto il muro della paura. Nulla potrà più fermarli. Newsweek- la Repubblica; traduzione di Anna Bissanti )
    – MOHAMED EL BARADEI
    (Nobel per la pace 2005)
    Fonte:
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/01/28/gli-usa-europa-abbandonino-regimi-che-hanno.html

  16. 6 giugno 2012 alle 17:47

    Ciao Giampi, riusciresti atrovarmi il discorso intergrale che ha fatto Obama al congresso lunedì 04 giugno 2012? Lo vorrei proprio leggere, in italiano possibilmente. Grazie. 🙂

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