FIRMINO
Carissimi viandanti in Terra di Nessuno, Vi presento “FIRMINO” la rubrica libraria interamente dedicata alle recensioni di volumi sui temi cari a Terra di Nessuno: Filosofia, teologia, spiritualità, scienze umane, bioetica, ecologia, politica, diritti dell’uomo, scuola. Questo spazio verrà aggiornato di volta in volta e si arricchirà col tempo, anche delle vostre recensioni, se lo vorrete, di consigli per la lettura o semplicemente di una vostra segnalazione su libri che voi ritenete importanti per la vostra vita.
Solidarietà a Roberto Saviano
Categorie:Firmino (recensioni), Zibaldone
Tag:Ariel Toaff, Augusto Cavadi, Beniamino Iscariota, Bibi Bianca, Cataldo Naro, Chiara D'Assisi, Corrado Augias, Costantino Margiotta, Ernesto Ruffini, Ferdinando Siringo, Firmino (recensioni librarie), Francesco Anfossi, Francesco M. Stabile, Francis J. Moloney, Giampiero Tre Re, Giorgio Chinnici, Giovanni Abbagnato, Giuseppe Betori, Jeffrey Archer, La Fiura, Maxence Fermine, Nicola Figlia, Nuova versione della bibbia in italiano, Piergiorgio Odifreddi, Remo Cacitti, Rita Borsellino, Roberto Lopes, Roberto Saviano, Rosaria Cascio, Rossella Semplici, Salvatore Mugno, Ugo Adragna, Umberto Santino, Veronique Buborgel, Vittorio Messori
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Giampiero Tre Re
(Palermo, 1959). Docente di filosofia, psicologia e scienze sociali, è dottore di ricerca in Diritti dell'Uomo presso l'Università di Palermo e licenziato in Teologia morale presso l'Università Gregoriana di Roma. Specialista di bioetica è autore di vari articoli e saggi tra cui Terra di nessuno. Bioetica dei diritti dell'embrione umano, Palermo 1999.
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Ariel S. Levi di Gualdo,
E SATANA SI FECE TRINO:
RELATIVISMO INDIVIDUALISMO E DISUBBIDIENZA
LA CHIESA DEL XXI SECOLO STRETTA SOTTO ASSEDIO DA MODERNISTI
E OMOSESSUALISTI AL POTERE
recensione di Antonio Margheriti Mastino
Rifacendosi a una frase di Paolo VI sul fumo di Satana penetrato all’interno della Chiesa, l’autore di E Satana si fece Trino, Don Ariel S. Levi di Gualdo, ricorda: «Quando il fumo di Satana penetra all’interno della Chiesa non andrebbe temuta la sgradevole verità ma la gradevole menzogna, consapevoli che saremmo chiamati a rendere conto a Dio non delle cose dette ma di quelle “prudentemente” taciute. La prudenza è una virtù, non uno scudo che copre le paure di chi rinuncia ad annunziare il Vangelo per non offendere nessuno, dopo avere mutato l’essenza della Rivelazione in cloro da diluire nella piscina del dialogo interreligioso (…) Nel Novecento lo Spirito Santo ha toccato la Chiesa con una singolare azione di grazia: il Concilio Ecumenico Vaticano II, prima deformato col pretesto dell’interpretazione, poi mutato nel concilio egomenico dei teologi del post-concilio. Scrosciati come pioggia quattro decenni di estrosità dottrinali e di bizzarrie liturgiche, i risultati si sono infine dischiusi: le Chiese dell’Occidente sono semi-vuote e la crisi di credibilità è calata sul clero come scure del boia». E per anticipare, e forse chiarire sin dall’inizio, che non sarà affatto tenero, prosegue: « Il prete che parla dei gravi mali interni della Chiesa mosso da dolore e amore, deve andare fino in fondo, anche in modo duro, perché finirà col produrre del bene prezioso. Il prete che parla dei gravi mali interni della Chiesa senza dolore e senza amore, farà bene a tacere, evitando di aggiungere inutile male al tanto male che già la devasta » (Cit. dalla prefazione di E Satana si fece Trino).
Un’opera, E Satana si fece Trino, che tratta argomenti complessi con uno stile accessibile a qualsiasi lettore, anche se relegata come tutti gli scritti di questo autore in un cosiddetto ambito di nicchia. Eppure raggiungerà lentamente, come tutte le sue pubblicazioni, i lettori nel corso dei mesi, degli anni, rimanendo nel tempo, come accaduto per altri suoi libri. Come per Erbe Amare scritto tra il 2002 e il 2005 e pubblicato nel 2007, opera a suo modo unica nelle analisi che l’autore fa sul sionismo politico, operando una scissione che lo separa dall’Ebraismo.
Il primo capitolo di E Satana si fece Trino tratta il problema della fede e della libera obbedienza alla Chiesa e alla sua autorità apostolica. A livello teologico e socio-ecclesiale Don Ariel non è un autore collocabile in un preciso scomparto, forse anche questo, suscita una certa perplessità e confusione in chi deve per forza, anzitutto, etichettare da qualunque cosa. Don Ariel non è progressista, ma neppure tradizionalista; Don Ariel è semplicemente un prete e un teologo cattolico fedele alla Chiesa, fedelissimo alla dottrina del Concilio Vaticano II e al suo Magistero. In questo primo capitolo solleva un problema al quale altri dovrebbero dare risposta: il concilio, prima snaturato, poi tramutato da certi registi del post concilio in uno strumento usato anche per far esplodere l’apostasia e la ribellione dentro la Chiesa. Da qui, nasce l’immagine di un Anticristo che giunge a parodiare Dio, sino a farsi trino: Relativismo, Individualismo, Disubbidienza. La Trinità di quel Satana che vuole scimmiottare Dio per invertire bene e male e creare un’altra realtà. L’analisi di Don Ariel, per quanto riguarda le derive del post concilio generate da quelli che lui chiama i teologi egomenici, parte dal problema del modernismo. Merita riportare un lungo stralcio di una parte del suo libro, anche per cogliere e percepire l’onestà intellettuale, teologica e socio-ecclesiale con la quale si muove tra le sue righe:
« Il modernismo pose la coscienza al centro di tutto e fece della fede non più l’assenso dell’intelletto alla verità rivelata da Dio ma un cieco sentimento religioso. Il modernismo – afferma un noto commentatore italiano – fu un’eresia e il suo legittimo erede è stato il progressismo. È bene dare ai così detti progressisti – che non sono mai stati eredi legittimi e tanto meno automatici dei modernisti – ciò che spetta a loro, riconoscendo i danni che taluni hanno prodotto, senza però trascurare i gravi danni prodotti da quel conservatorismo che favorì la nascita di un certo modernismo reattivo, dopo avere paralizzato la speculazione teologica e reclusa la verità dentro quattro schemi della metafisica aristotelica, idolatrando la norma e non tenendo conto dei drammi e delle sofferenze dell’uomo reale, specchio dell’immagine di un Cristo storico altrettanto reale, come insegna tra le righe il teologo protestante Karl Barth nella sua opera di commento alla Lettera ai Romani, pubblicata non a caso a un anno di distanza dalla fine della prima guerra mondiale. Sul piano dottrinale, l’Enciclica Pascendi Dominici Gregis con la quale San Pio X condannò il Modernismo definendolo come “la sintesi di tutte le eresie”, nasce in precisi ambiti storici.
Dopo la Rivoluzione di Francia la Chiesa aveva trascorso l’intero arco dell’Ottocento a essere attaccata su tutti i fronti. Sulla base di questa dolorosa esperienza, che non può essere elusa per saltare a piè pari nella contemporaneità, la Chiesa giunge all’alba di un Novecento in una situazione affatto migliore e altrettanto non eludibile sul piano storico e socio-ecclesiale (…) In quei tempi studiosi e teologi cattolici cominciano a speculare al di là delle formule scolastiche principiando a essere corteggiati dalle correnti moderniste, che tentano di offrirsi come cavallo di Troia per essere tirati dentro la città, assediata da un secolo e comprensibilmente ripiegata su se stessa in uno stato di difesa verso ogni attacco esterno. La Pascendi Dominici Gregis è dunque un testo da leggere alla luce di quei precisi tempi storici. Talune delle sue proposizioni oggi potrebbero essere anche riformulate, ma questo compito è di stretta competenza del Magistero della Chiesa, non del magistero personale del teologo. In appendice al testo della Pascendi Dominici Gregis sono riportati il Decreto Lamentabili che condannava 65 proposizioni moderniste e il “giuramento antimodernista” imposto nei seminari, diversi dei quali svuotati in tutta Europa dopo che numerosi formatori interni e altrettanti giovani in procinto di ricevere gli ordini sacri, risultarono affiliati alle logge massoniche e diffusori delle idee moderniste. Fatti noti e documentati che taluni storici e teologi contemporanei dovrebbero ricordare nei propri scritti, anziché lasciare intendere che furono attuate azioni repressive della ricerca e del libero pensiero su impulso di un pontefice che anni dopo la sua morte sarà proclamato santo. Una canonizzazione avvenuta sulla base di precise virtù, inclusa la difesa della Chiesa, che non lottò contro la ricerca né il libero pensiero, cercò di difendere la città assediata evitando l’ingresso del cavallo di Troia e dei soldati nascosti nel suo ventre. Le principali proposizioni di questo testo di San Pio X, tutte in aperto contrasto con la dottrina cattolica, oggi stanno alla base di molte pubblicazioni teologiche, di altrettanti insegnamenti tenuti presso facoltà teologiche e seminari, di scritti e di conferenze di vescovi. La domanda che viene da porsi è la seguente: questo accade perché mutati i tempi storici quelle proposizioni sono cadute, oppure perché i soldati sono usciti dalla pancia di legno del cavallo di Troia e scorazzano all’interno delle mura della città? Una cosa è certa: dentro le mura i soldati troiani non uccidono e non saccheggiano. Sono nostri amici e compagni coi quali abbiamo socializzato, con loro dialoghiamo e critichiamo assieme la politica di governo della nostra povera città» (Cit. E Satana si fece Trino, pag. 120-121).
Il secondo capitolo si addentra nel delicato problema della omosessualizzazione psicologica della Chiesa giudicata cosa peggiore dei casi di pedofilia. Se difatti il problema della pedofilia ha toccato numeri davvero esigui di preti, quello dell’omosessualità psicologica coinvolgerebbe una gran fetta di clero. Anche in questo caso vediamo cosa scrive l’autore:
« Checché si minaccino provvedimenti paventando dure sanzioni applicate solo quando lo scandalo rimbalza su giornali e televisioni, nella realtà dei fatti l’apparato ecclesiastico seguita a essere un asilo privilegiato, a volte un rifugio ambito per maschi mancati che continuano a passare tra le maglie del setaccio senza enormi difficoltà, anzi procurandosi talora protezioni influenti; perché nessuno come loro serve l’uomo in spregio a Dio, nella bramosa speranza di poter essere serviti e riveriti domani loro stessi, trascurando che Dio deve essere servito per primo » (cit. pag. 219).
Prosegue ancora l’autore, non menandola affatto per il sottile, con attacchi diretti sferrati ai gay estetici in carriera all’interno della Chiesa, e in particolare di quelli che «bivaccano» e che «si riproducono» all’interno della curia romana:
« Oggi si è smarrita la figura pastorale e spirituale del padre apostolico che regge la famiglia, garantendo la protezione e l’educazione dei figli e facendo sentire all’occorrenza anche il morso dell’autorità e della disciplina. Perdere tutto questo, vuol dire smarrire il senso spirituale e pastorale dell’episcopato nella Chiesa. Nelle sue più importanti azioni liturgiche il vescovo è chiamato a procedere con la verga, il bastone pastorale, che è segno del suo governo spirituale e della sua virilità cristiana e psicologica. A maggior ragione oggi viene da arrossire d’imbarazzo, quando certi cerimonieri estetici ricoprono i poveri vescovi con cascate di trine e merletti, che rammentano più le ammalianti biancherie intime femminile anziché i paramenti dei maschi Padri della Chiesa. Il moderno carrierismo estetico e mediatico si regge su un elemento singolare: non è virile ma efebico, femmineo; nella migliore delle ipotesi asessuato, nella peggiore sfocia nel vero e proprio disordine sessuale per ovvie conseguenze del carattere. Nel rapporto privo di equilibrio con la carriera ecclesiastica, esistono soggetti in numero tremendamente alto influenzati dal tipico istinto del narcisista omosessuale. E per la macchina della Chiesa non c’è peggiore ingolfamento delle subdole personalità di gay repressi, finiti in considerevole numero come volpi nel pollaio, in ruoli delicati dove si finisce non per servire ma per servirsi, non per piacere a Dio ma per piacere agli altri e compiacere se stessi, anziché esercitare il potere di decidere secondo carità e giustizia ciò che quella cattedra episcopale o quell’ufficio di curia richiedono per il bene della Chiesa e dei suoi fedeli » (Cit. pag. 205-206).
Il terzo capitolo, tocca un tema caro all’ Autore: la libertà, che percorre attraverso suggestive letture teologiche delle figure di Adamo ed Eva. Solo sul finire di quest’ultima parte torna sul tema della sessualità, non più però all’interno del mondo ecclesiastico, questa volta di quello laico: « La sessualità, è un moto dello spirito, specchio e termometro delle società in ascesa e di quelle in declino ».
Le analisi finali oltrepassano ogni fisicità sessuale, a catturare la sua attenzione, è ciò che c’è dietro. Il problema non è nel corpo, ma nella spiritualità sessuale, nell’eros psicologico dell’ uomo. Lì abitano bene e male, là va individuato il problema e trovata risposta, non in un moto del corpo, che è solo il segno finale esterno, di quel che racchiude lo spirito profondo dell’ uomo.
Quando abbiamo chiesto all’autore perché – a suo inevitabile rischio e pericolo – ha trattato tematiche così scomode che potrebbero indisporre non pochi prelati che si sentiranno inevitabilmente chiamati in causa direttamente o indirettamente, ha risposto: « Perché sono stato istituito annunciatore e servo della Verità, che è la Verità del Verbo incarnato. Poi va tenuto conto che la diplomazia di Dio fatto Uomo, quella racchiusa nel Vangelo ma che purtroppo spesso non insegnano alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, dove sembra si insegni a dire le bugie e a sentirsi con la coscienza in perfetto ordine, per l’esattezza è questa: «Il vostro parlare sia si quando è si e no quando è no, perché il di più proviene dal maligno » (Cit. Mt. 5, 17). E di questi tempi – mi permetto di aggiungere io – anche il di meno, rischia di provenire dal Maligno». E ha aggiunto: « E siccome, grazie a Dio non aspiro a un ufficetto di curia, posto che non sono diventato prete per fare il burocrate minutante, né aspiro a diventare vescovo, cardinale o nunzio apostolico in qualche prestigiosa nunziatura, questo mi rende libero e mi permette il lusso, raro tutto sommato di questi tempi, di poter dire il vero e di non piegarmi al potere degli omosessualisti che all’interno della Chiesa hanno fatto un vero e proprio golpe, non avendo io intenzione alcuna di svendere Cristo e la sua Chiesa per meno ancora di trenta danari per una misera fascetta violacea da monsignore ».
E con questo ha risposto più o meno a tutto ciò che c’era da rispondere, forse anche di più.
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Ariel Stefano Levi di Gualdo (19.08.1963) allievo del teologo gesuita Peter Gumpel è consacrato sacerdote a Roma dove attualmente vive. Svolge il ministero di confessore, predicatore e direttore spirituale. È autore di vari articoli scientifici e di diversi saggi pubblicati con la Casa Editrice Bonanno presso la quale dirige la collana teologica Fides Quaerens Intelletcum. Tra le sue principali opere: Erbe Amare, il secolo del sionismo (Bonanno, 2007), Nada te Turbe (A&B 2009), E Satana si fece Trino. (Bonanno, 2011). Altri suoi lavori di saggistica sono in programma di pubblicazione nel corso del 2013 e del 2014.
..sarà tutto vero? :Mms
Magari no. Ma fa un certo effetto dopo le dimissioni di Ratzinger.
IL MIRACOLO DI DON PUGLISI
Recensione di Gabbiano Jonathan
Autore: Roberto Mistretta
Dimensioni: 15 x 21 cm
Pagine: 220
Prezzo: 11.90 €
Codice ISBN: 9788896742709
Data Pubblicazione: 28/02/2013
Questo libro racconta la storia di un miracolo, la conversione di Giuseppe Carini che smaniava per diventare un uomo d’onore, ma dopo avere incontrato
sulla sua strada don Pino Puglisi, ha scelto di testimoniare contro la mafia, di fare nomi e cognomi, di puntare l’indice accusatorio. Una scelta di vita pagata a caro prezzo. Carini è nato e cresciuto a Brancaccio, quartiere/ghetto di Palermo dove la mafia spadroneggia. Ieri come oggi. Lo stesso quartiere dove un giorno qualunque del 1990, arrivò in punta di piedi don Pino Puglisi e la vita di Giuseppe Carini cambiò. Radicalmente. Oggi Carini è un testimone di giustizia, sottoposto dal 1995 allo speciale programma di protezione. È un
testimone/fantasma che ha usufruito del cambio di identità, che ha dovuto
tagliare tutti i contatti con la sua vita precedente, con la sua terra, con la
sua famiglia. Un testimone che lotta per continuare ad affermare quei precetti di verità e giustizia che rendono gli uomini, tutti gli uomini, veramente liberi.
Quei precetti messi in pratica da don Puglisi nell’esercizio del suo ministero
in una terra di frontiera dove lo Stato era assente, dove i bambini crescevano
per strada, dove i giovani idolatravano gli uomini d’onore.
Don Puglisi ha mostrato un’alternativa, una nuova opportunità di vita, un
sentiero di riscatto. Carini l’ha colta. Questo libro ripercorre capitolo dopo capitolo, quei giorni palermitani, l’incontro tra Carini e don Pino, l’inizio di una sinergia mai venuta meno, neppure dopo il martirio di don Puglisi. Si sofferma sulla catarsi di quel giovane votato all’assassinio e che invece degli assassini è diventato fiero avversario. Mostra aspetti inediti della personalità di don Puglisi che proprio a Carini, all’epoca studente di Medicina e suo collaboratore in parrocchia, si raccomandò: “Non lasciarmi solo quando l’ora verrà”. E quando quell’ora triste venne, Carini adempì a quell’impegno e rimase per tutto il tempo al suo fianco mentre il medico legale eseguiva l’autopsia sul corpo di don Puglisi. Siamo abituati a cercare miracoli impossibili e a volte non vediamo che i miracoli ci camminano accanto. Giuseppe Carini con la sua testimonianza di verità, è il miracolo vivente di don Puglisi.
Roberto Mistretta giornalista, vive e lavora a Mussomeli (Cl) la Villabosco dei suoi romanzi. È autore della serie noir con protagonista il maresciallo dei carabinieri Saverio Bonanno, pubblicata con successo nei paesi di lingua tedesca: Germania, Austria e Svizzera. Ha vinto diversi premi letterari ed ha partecipato a festival e manifestazioni culturali a carattere nazionale. È
autore del radiodramma “Onke Binnu” sulla cattura di Binnu Provenzano, mandato in onda con successo da Radio Colonia. Nel 2011 ha pubblicato
“Giudici di frontiera”, raccolta di interviste a sei magistrati impegnati in prima linea nella lotta alla mafia.
Berlusconi come la Mivar?
leggi su rai.it
Per i numeri sarà soltanto l’ennesima azienda uccisa dalla crisi: la Mivar, l’unica fabbrica italiana di apparecchi televisivi (nel boom del passaggio al colore arrivò a produrre un milione di apparecchi all’anno) che ora è costretta a chiudere i battenti.
Lo storico patron, Carlo Vichi, che a 90 anni è ancora al timone dell’azienda, lancia un appello ai possibili acquirenti: “Se una società di provata serietà accetta di fare televisioni in Italia, io gli offro la mia nuova fabbrica, pronta e mai usata, gratis. Non voglio un centesimo. Ma chiedo che assuma mille e duecento italiani, abbiatensi, milanesi. Questo chiedo. Veder sorridere di nuovo la mia gente”.
Firmino media
Alberto Di Giglio, Il cinema del silenzio
Fai clic per accedere a Rogate%20Di%20Giglio.pdf
@R.P.
Noi non abbiamo pillole per i dinosauri, ma possiamo fare diventare tutti dei giganti.
Un bacio, la maestra.
Raige