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La Sicilia è il mondo. La santità della Chiesa siciliana in C. Naro

 

Cinisi (PA), 10 giugno 2005. I fedeli aggrediscono l’Arcivescovo di Monreale, Mons. Cataldo Naro

 

 

«È certo solo l’amore di Cristo. Non possiamo neppure dire: l’amore di Dio, perché sappiamo definitivamente solo attraverso Cristo che Dio ci ama. Solo mediante Cristo sappiamo che Dio ama perdonando. Ciò che è certo è solo quanto si è rivelato sulla croce»
(Romano Guardini)

 

 

Così come, á la Sciascia o Tomasi di Lampedusa, la Sicilia è detta metafora del mondo – “Sicilia”, dunque, è il mondo – la Chiesa siciliana è simbolo e mistero della Cattolica Una-Santa.
Siciliani sono Falcone e Provenzano, Borsellino e Cuffaro: e infatti coesistono nella Chiesa siciliana i Naro e i Cassisa, i Puglisi e le teste di capretto appese alle porte di certe chiese e di certe case, le liturgie che incantarono Romano Guardini e le pagliaccesche ritualità nelle feste dei pagi dell’entroterra palermitano. Ed è una coesistenza, si badi, tutta teologale. Certo, sarebbe apparentemente molto “cattolico”, com’è certamente molto siculo, dire: «arma e cammisa l’avemu divisa» («L’anima è individuale come la propria biancheria intima») ognuno è responsabile della propria pulizia, per dire: non mi curo di quel che altri combinano, io tiro diritto per la mia strada. Ma è cattolica, invece, la comunione dei santi, e dunque veramente cattolico è accettare di essere identificati anche con le pagine più sporche scritte dalla propria comunità.

Il presente articolo è solo per segnalare un convegno in ricordo dell’Arcivescovo di Monreale, Aldo Naro, che si terrà, ad un anno dalla morte, il prossimo 27 ottobre nella sua città natale, S. Cataldo. Per l’occasione ho aggiunto, in questo sito, una ristretta selezione di suoi testi, nella sezione Biblioteca di Terra di nessuno. Un piccolo bouquet di parole, scelte in onore di questo raffinato intellettuale e immensa figura di credente.
Una proposizione con la quale vorrei interpretare uno dei temi cari all’ultimo Naro è che la santità è l’analogo della legalità nello Stato. E così come la legalità dovrebbe esprimere il principio stesso della normale coesistenza civile, e tuttavia ha i suoi eroi e i suoi martiri “borghesi”, allo stesso modo la santità nella Chiesa ha i suoi campioni, perché anche la comunità ecclesiale porta al suo stesso interno le proprie contraddizioni; anzi, la santità è questa contraddizione.
Tra gli scritti qui pubblicati nella nostra Biblioteca, vorrei segnalare, in particolare, Amiamo la nostra Chiesa, un testo davvero sublime, anche dal punto di vista letterario, un piccolo gioiello da molti punti di vista: per il tono affettuoso, l’originalità dello stile, il colore che lo pervade, la cristallina impostazione cristologica: una figura musiva degna della domus aurea di Monreale, dalla quale trae spunto.
In questo capolavoro del magistero di Naro non si troverà una sola proposizione non religiosa. L’Autore ricorre in maniera esclusiva al linguaggio religioso, e fa ciò intenzionalmente. Beninteso, questo avviene senza che il vescovo subisca alcun complesso di superiorità nei confronti dei linguaggi della filosofia e delle scienze secolari. Il fatto è che per lui la singolarità dell’esperienza cristiana non può esser detta che con parole cristiane; non solo: la novità dell’essere in Cristo consiste nell’abitare nuovi linguaggi. Da fine studioso, abituato al rigore della documentazione scientifica, sa che quod non est in actis non est in mundo. Anche la vita cristiana esiste nel mondo solo a condizione di farsi annuncio, documento, evento linguistico. La novità delle parole cristiane, così come la bellezza delle sue espressioni artistiche, sono parte integrante della bellezza di Cristo.

E’ impressionante osservare che questo documento, Amiamo la nostra Chiesa, così sereno e rasserenante sia stato scritto mentre il suo Autore era sottoposto ad ogni genere di persecuzioni e minacce proprio da parte di ambienti ecclesiastici compromessi in intrallazzi con politici e mafiosi. L’episodio della “disobbedienza di Cinisi”, del 9 giugno 2005, (di cui sopra riportiamo il video) sorprendentemente simile al racconto evangelico di Matteo 27,17-24, in cui il popolo, sobillato da rappresentanti dell’autorità civile e religiosa, rinnega il proprio Pastore innocente, preferendogli un qualunque Barabba, è solo il più noto di questi fatti, non l’unico. Certi segnali come i funerali del boss Nenè Geraci nella Chiesa Madre di Partinico (diocesi di Monreale) con relativi disordini, o il fatto che nessuna iniziativa ufficiale sia stata organizzata dalla diocesi per il primo anniversario della scomparsa del suo Arcivescovo o anche certi segnali che giungono, per quanto piccola cosa, al blog di Terra di nessuno dedicato a Naro, sono segno che tante ferite rimangono ancora aperte.
La santità è il senso delle contraddizioni della coesistenza umana, l’uno e le altre esplicitati alla luce paradossale dell’inutilità della morte di Dio. E non vale a nulla dire che il “fallimento” di Dio è solo apparente: quando Dio esprime un giudizio, attraverso la profezia del martirio, ciò che appare è esattamente la Verità.

Mi piace concludere come si conclude Amiamo la nostra Chiesa, con la Litania delle figure di santità della Chiesa di Monreale, composta dallo stesso Naro.

«San Castrense, nostro patrono e intercessore,
il cui corpo il re Guglielmo ci donò, prega per noi
San Leoluca, abate di continua preghiera, prega per noi
Santa Rosalia, che percorresti penitente
le strade della nostra arcidiocesi, prega per noi
San Luigi IX, grande re cristiano,
il cui corpo i crociati seppellirono nel nostro duomo, prega per noi
San Bernardo da Corleone,
esempio di conversione coraggiosa, prega per noi
San Benedetto il Moro, misericordioso taumaturgo,
che dimorasti a Sant’Anna di Giuliana, prega per noi;
San Giuseppe Maria Tornasi, maestro del culto liturgico,
che trascorresti a Torretta la tua infanzia, prega per noi
Beato Giuliano Mayali, amico dei re e del popolo,
che ci desti il santuario di Romitello, prega per noi
Beato Simone Napoli da Calascibetta,
fedele testimone della tradizione francescana, prega per noi
Beato Giacomo Cusmano,
che venerasti nei poveri il sacramento del Signore, prega per noi
Beata Maddalena Morano
che portasti le suore salesiane ad Altofonte, prega per noi
Beata Pina Suriano, vergine laica, sposa del Signore
e operatrice di pace tra le famiglie, prega per noi
Venerabile Innocenzo da Chiusa Sclafani,
che ci portasti l’immagine del Volto Santo, prega per noi
Venerabile Luigi La Nuza,
che educasti alla fede il nostro popolo, prega per noi
Venerabile Girolamo da Corleone,
testimone dell’amore del Signore e operatore di miracoli, prega per noi
Venerabile Andrea da Burgio,
che attraversasti col saluto francescano i nostri paesi, prega per noi
Venerabile Ignazio Capizzi, genio della pastorale e gloria di Brente,
quando essa apparteneva alla Chiesa di Monreale, prega per noi
Venerabile Maria di Gesù Santocanale,
signora e madre, vicina ai piccoli e ai grandi, prega per noi
Venerabile Teresa Cortimiglia, amica dei poveri, prega per noi
Venerabile Antonio Augusto Intreccialagli,
maestro di discernimento spirituale e pastore di umile fermezza, prega per noi
Servo di Dio Mercurio Maria Teresi,
missionario della Sicilia e nostro arcivescovo, prega per noi
Servo di Dio Mansueto Mazzara,
esempio di evangelica penitenza, prega per noi
Serva di Dio Maria Trucco, terziaria domenicana,
sposa fedele del Signore, prega per noi
Servo di Dio Giorgio Guzzetta, vanto degli albanesi di Sicilia
e insigne riformatore, prega per noi
Serva di Dio Rosaria Caterina Alias,
innamorata del Cristo, prega per noi
Serva di Dio Maria Cira Destro, che a Corleone testimoniasti
il tuo amore appassionato al Crocifisso, prega per noi
Serva di Dio Vincenzina Cusmano,
che servisti ipoveri a Monreale, prega per noi
Serva di Dio Maria Rosa Zangara,
grande mistica della croce, prega per noi
Serva di Dio Diomira Crispi, viaggiatrice instancabile
e apostola del Vecchio e del Nuovo Mondo, prega per noi
Serva di Dio Carmela Prestigiacomo,
sapiente educatrice, prega per noi
Servo di Dio Pietro Privitera,
che percorresti benedicente le nostre campagne, prega per noi
Servo di Dio Giovanni Bacile, intraprendente decano di Bisacquino
e parroco moderno, prega per noi
Servo di Dio Tommaso Mannino, restauratore di chiese
e formatore di comunità parrocchiali, prega per noi
Servo di Dio Pino Puglisi, sacerdote e martire,
che portavi i tuoi giovani da Palermo a contemplare
il Cristo pantocratore della nostra cattedrale,
prega per noi».

Vorrei accompagnare, qui, al nome di Puglisi, che provvisoriamente chiude la schiera dei santi “monrealesi” ricordati da Naro, quello di stesso di

Aldo Naro, sentinella e messaggero di questa Chiesa,
martire per amore di Cristo, per questa Chiesa e questa gente, fino alla fine,
prega per noi.

[C. Naro, Amiamo la nostra Chiesa, testo integrale]

  1. MARCO D.
    23 ottobre 2007 alle 0:18

    Uno dei compiti più impegnativi del Cristianesimo è quello di forgiare successori degli apostoli in grado di mettere la propria vita al servizio degli altri per costruire una “civiltà dell’amore”, mossi dalla fede e perché credono nella possibilità di un mondo più civile.
    La Chiesa, che ha generato e nutre nel suo seno molte delle associazioni, indica nella coerenza morale e nella promozione dei valori cristiani il punto di riferimento irrinunciabile per ognuno di noi.
    Ancor più per chi riceve la sacra ordinazione.
    Questa testimonianza, proprio perché investe l’intera esistenza dei cristiani, spinse i Dodici ad essere “agenti” di un profondo rinnovamento umano e sociale. Così è avvenuto all’inizio del cristianesimo, così è e sarà nel corso dei secoli. I santi, infatti, furono e sono tuttora fari di alta spiritualità e di autentica umanità, seguendo fedelmente il comando di Gesù e diffondendo con la loro vita il dono dell’amore di Dio.
    Caro Giampiero, vorrei sbagliarmi, ma diverse masse popolari sono volubili, non seguono la verità che scaturisce dal cuore, il loro atteggiamento è radicato in una cultura simile a quella dei farisei.
    Il video di Naro, riportato in terradinessuno, mi ha fatto pensare a quando Gesù è stato riempito di oltraggi dalla folla di quel tempo….

  2. Michele
    25 ottobre 2007 alle 20:28

    (l’Espresso) Oggi ho visto qualcosa di grandioso: Monreale

    “Settimana Santa a Monreale”, autore Romano Guardini

    Una straordinaria lezione di liturgia dal vivo, scritta dal teologo che fu maestro di Joseph Ratzinger. In una pagina per la prima volta tradotta dall’originale tedesco

    di Sandro Magister

    ROMA, 12 aprile 2006 – Mentre a Roma, nella basilica di San Pietro, Benedetto XVI celebra la sua prima settimana santa da papa, in un’altra antica e grandiosa basilica, quella di Monreale in Sicilia, i riti pasquali hanno una “guida” a lui idealmente molto vicina: quella di Romano Guardini, il teologo tedesco dal quale il giovane Joseph Ratzinger più imparò in tema di liturgia.

    Guardini visitò la basilica di Monreale nel 1929 e ne raccontò nel suo “Viaggio in Sicilia”.

    La visitò nei giorni della Settimana Santa: il giovedì durante la messa crismale e il sabato, durante la veglia che all’epoca si celebrava di mattina.

    L’attuale arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, ha ripreso quel racconto di Guardini dall’originale tedesco, l’ha tradotto e l’ha riproposto ai fedeli all’interno di una lettera pastorale dal titolo “Amiamo la nostra Chiesa”. Come a far da guida alle celebrazioni liturgiche d’oggi.

    In quella pagina, il grande teologo tedesco scrisse tutto il suo stupore per la bellezza della basilica di Monreale e lo splendore dei suoi mosaici.

    Ma soprattutto scrisse d’essere stato colpito dai fedeli che assistevano al rito, dal loro “vivere-nello-sguardo”, dalla “compenetrazione” tra questo popolo e le figure dei mosaici, che da esso prendevano vita e movimento.

    “Gli sembrò – nota l’arcivescovo Naro nella lettera pastorale – che quel popolo sperimentasse un modo esemplare di celebrare la liturgia: con la visione”.

    La basilica di Monreale, capolavoro dell’arte normanna del XII secolo, ha le pareti interamente rivestite da mosaici a fondo d’oro con le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, gli angeli e i santi, i profeti e gli apostoli, i vescovi e i re, e il Cristo “Pantocrator”, reggitore di tutto, che dall’abside avvolge con la sua luce, il suo sguardo, la sua potenza il popolo cristiano.

    Ecco qui di seguito il racconto della visita di Guardini a Monreale tradotto dal suo “Reise nach Sizilien [Viaggio in Sicilia]”.

    L’originale tedesco è in R. Guardini, “Spiegel und Gleichnis. Bilder und Gedanken [Specchio e parabola. Immagini e pensieri]”, Grünewald-Schöningh, Mainz-Paderbon, 1990, pp. 158-161.

    “Allora mi divenne chiaro qual è il fondamento di una vera pietà liturgica…”

    di Romano Guardini

    Oggi ho visto qualcosa di grandioso: Monreale. Sono colmo di un senso di gratitudine per la sua esistenza. La giornata era piovosa. Quando ci arrivammo – era giovedì santo – la messa solenne era oltre la consacrazione. L’arcivescovo per la benedizione degli olii sacri stava seduto su un posto elevato sotto l’arco trionfale del coro. L’ampio spazio era affollato. Ovunque le persone stavano sedute sulle loro sedie, silenziose, e guardavano.

    Che dovrei dire dello splendore di questo luogo? Dapprima lo sguardo del visitatore vede una basilica di proporzioni armoniose. Poi percepisce un movimento nella sua struttura, e questa si arricchisce di qualcosa di nuovo, un desiderio di trascendenza l’attraversa sino a trapassarla; ma tutto ciò procede fino a culminare in quella splendida luminosità.

    Un breve istante storico, dunque. Non dura a lungo, gli subentra qualcosa di completamente Altro. Ma questo istante, pur breve, è di un’ineffabile bellezza.

    Oro su tutte le pareti. Figure sopra figure, in tutte le volte e in tutte le arcate. Fuoriuscivano dallo sfondo aureo come da un cosmo. Dall’oro irrompevano ovunque colori che hanno in sé qualcosa di radioso.

    Tuttavia la luce era attutita. L’oro dormiva, e tutti i colori dormivano. Si vedeva che c’erano e attendevano. E quali sarebbero se rifulgesse il loro splendore! Solo qui o là un bordo luccicava, e un’aura chiaroscura si spalmava sul mantello blu della figura del Cristo nell’abside.

    Quando portarono gli olii sacri alla sagrestia, mentre la processione, accompagnata dall’insistente melodia dell’antico inno, si snodava attraverso quella folla di figure del duomo, questo si rianimò.

    Le sue forme si mossero. Entrando in relazione con le persone che avanzavano con solennità, nello sfiorarsi delle vesti e dei colori alle pareti e nelle arcate, gli spazi si misero in movimento. Gli spazi vennero incontro alle orecchie tese in ascolto e agli occhi in contemplazione.

    La folla stava seduta e guardava. Le donne portavano il velo. Nei loro vestiti e nei loro panni i colori aspettavano il sole per poter risplendere. I volti marcati degli uomini erano belli. Quasi nessuno leggeva. Tutti vivevano nello sguardo, tutti erano protesi a contemplare.

    Allora mi divenne chiaro qual è il fondamento di una vera pietà liturgica: la capacità di cogliere il “santo” nell’immagine e nel suo dinamismo.

    * * *

    Monreale, sabato santo. Al nostro arrivo la cerimonia sacra era alla benedizione del cero pasquale. Subito dopo il diacono avanzò solennemente lungo la navata principale e portò il Lumen Christi.

    L’Exsultet fu cantato davanti all’altare maggiore. Il vescovo stava seduto sul suo trono di pietra elevato alla destra dell’altare e ascoltava. Seguirono le letture tratte dai profeti, ed io vi ritrovai il significato sublime di quelle immagini musive.

    Poi la benedizione dell’acqua battesimale in mezzo alla chiesa. Intorno al fonte stavano seduti tutti gli assistenti, al centro il vescovo, la gente stava attorno. Portarono dei bambini, si notava la fierezza commossa dei loro genitori, ed il vescovo li battezzò.

    Tutto era così familiare. La condotta del popolo era allo stesso tempo disinvolta e devota, e quando uno parlava al vicino, non disturbava. In questo modo la sacra cerimonia continuò il suo corso. Si dislocava un po’ in tutta la grande chiesa: ora si svolgeva nel coro, ora nelle navate, ora sotto l’arco trionfale. L’ampiezza e la maestosità del luogo abbracciarono ogni movimento e ogni figura, li fecero reciprocamente compenetrare sino ad unirsi.

    Di tanto in tanto un raggio di sole penetrava nella volta, e allora un sorriso aureo pervadeva lo spazio in alto. E ovunque su un vestito o un velo ci fosse un colore in attesa, esso era richiamato dall’oro che riempiva ogni angolo, veniva condotto alla sua vera forza e assunto in una trama armoniosa che colmava il cuore di felicità.

    La cosa più bella però era il popolo. Le donne con i loro fazzoletti, gli uomini con i loro mantelli sulle spalle. Ovunque volti marcati e un comportamento sereno. Quasi nessuno che leggeva, quasi nessuno chino a pregare da solo. Tutti guardavano.

    La sacra cerimonia si protrasse per più di quattro ore, eppure sempre ci fu una viva partecipazione. Ci sono modi diversi di partecipazione orante. L’uno si realizza ascoltando, parlando, gesticolando. L’altro invece si svolge guardando. Il primo è buono, e noi del Nord Europa non ne conosciamo altro. Ma abbiamo perso qualcosa che a Monreale ancora c’era: la capacità di vivere-nello-sguardo, di stare nella visione, di accogliere il sacro dalla forma e dall’evento, contemplando.

    Me ne stavo per andare, quando improvvisamente scorsi tutti quegli occhi rivolti a me. Quasi spaventato distolsi lo sguardo, come se provassi pudore a scrutare in quegli occhi ch’erano già stati dischiusi sull’altare .

    __________

    La lettera pastorale dell’arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, che include il brano di Romano Guardini sopra riportato:

    > “Amiamo la nostra Chiesa”

    ————————————————————–

    Il legame tra Benedetto XVI e Romano Guardini è evidentissimo fin nel titolo del libro “Introduzione allo spirito della liturgia” pubblicato dall’attuale papa nel 1999.

    La prefazione del libro così comincia:

    “Una delle mie prime letture dopo l’inizio degli studi teologici, al principio del 1946, fu l’opera prima di Romano Guardini ‘Lo spirito della liturgia’, un piccolo libro pubblicato nella Pasqua del 1918. Quest’opera contribuì in maniera decisiva a far sì che la liturgia, con la sua bellezza, la sua ricchezza nascosta e la sua grandezza che travalica il tempo, venisse nuovamente riscoperta come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana. […] Questo mio libro vorrebbe proprio rappresentare un contributo a tale rinnovata comprensione”.

    Lo scorso giovedì 6 aprile, rispondendo in piazza San Pietro alla domanda di un giovane sulla sua vocazione, Benedetto XVI è tornato a sottolineare che essa sbocciò e fiorì, quand’era ragazzo, proprio con la “scoperta della bellezza della liturgia”. Perchè “realmente nella liturgia la bellezza divina ci appare e si apre il cielo”.

  3. 29 ottobre 2007 alle 1:07

    Caro Michele,

    Grazie per le puntuali precisazioni. Tuttavia, le iniziative della diocesi di Monreale in occasione del primo anniversario della morte dell’Arcivescovo Cataldo Naro sembrano francamente di natura piuttosto privata, quasi improvvisata, frutto dell’impegno personale di Mons. Di Cristina e di qualche sacerdote. Non mi pare che la presentazione del volume “Torniamo a pensare”, avvenuta a Roma, la visita di una delegazione monrealese nel paese natale di Naro, una messa di suffragio per Naro, presieduta dal vescovo indichino in maniera convincente la partecipazione corale di tutta una comunità, e soprattutto l’unità del giudizio su Naro da parte del suo presbiterio. Anche al convegno di S. Cataldo dedicato, in questi giorni, all’opera di Naro, la partecipazione dell’attuale vescovo di Monreale è sembrata a titolo del tutto personale. Di fatto, don Massimo Naro è stato lasciato solo nell’organizzazione del convegno in memoria del fratello Aldo. Le diocesi di Caltanissetta e Monreale non stanno lavorando insieme all’approfondimento della grande figura di santità del loro vescovo. Dal canto loro, i capi della diocesi di Palermo (alla cui guida, ormai si può dire, Aldo Naro era destinato) proseguono nel loro aureo silenzio (su Naro come su qualsiasi altro argomento) essendo gli unici, in Italia, a non essersi accorti (si, vabbé) che Naro, pur non avendo frequentato nessuna accademia diplomatica pontificia, si avviava ormai ad una chiara leadership nell’episcopato italiano.
    Allora, che rimane a questa Chiesa se non le sue piaghe eternamente aperte? Davvero le nostre guide sono così cieche da non capire che (e Puglisi, e Naro) in questi ultimi tempi Cristo ci manda (e ci toglie) un profeta dietro l’altro? Certo, nessun risarcimento potrà essere davvero corrisposto a Naro, neppure il riconoscimento canonico dell’eroicità delle sue virtù, se prima non verranno chiarite le circostanze ecclesiali e la verità storica sulla sua morte. Il riconoscimento della dignità del profeta e del martire, infatti, non può avvenire senza metanoia, il pentimento per le responsabilità ecclesiali sul loro sacrificio.

  4. 31 ottobre 2007 alle 13:23

    Esattamente, caro Michele.
    Torno a scrivere quanto ho già espresso altrove. Se vuole sanare le stimmate della propria Chiesa di Monreale, l’Arcivescovo Di Cristina non potrà limitarsi ad una personale presa di posizione sulla figura del suo predecessore, Aldo Naro, ma dovrà promuoverne la causa canonica di beatificazione e dovrà coinvolgere, almeno, le diocesi di Caltanissetta e Palermo. Ciò porterà, inevitabilmente, a far sanguinare di nuovo certe ferite. Le profonde contraddizioni della Chiesa siciliana, che la santità della vita e della morte di Naro metteranno a nudo, si risolvono, tuttavia, qui, in Sicilia; non a Roma, non nell’aula e nelle carte di un Tribunale ecclesiastico, ma nel corpo vivo della comunità ecclesiale.
    La vicenda Puglisi dovrebbe averci insegnato che le cause di beatificazione sono occasioni imperdibili, per tanta parte della Chiesa, per rimuovere la propria cattiva coscienza, per vanificare l’appello di Giovanni Battista alla metanoia e trasformarlo in motivo di autoesaltazione.
    C’è un’invettiva di Gesù, nel vangelo, che ironizza sull’usanza dei potentati religiosi del tempo di costruire “sepolcri”, cioè monumenti, ai profeti ed ai santi del giudaismo: in questo modo essi «colmavano la misura dei loro padri». Come dire: «I profeti: i padri ammazzano, i figli seppelliscono».
    E questa è ancora l’alternativa che, dopo Puglisi e Naro, le nostre Chiese siciliane si trovano oggi davanti: metanoia; altrimenti, l’ipocrisia. La domanda, ad esempio, su che tipo di condizioni ecclesiali hanno reso possibile il martirio di Puglisi è stata finora posta solo nel senso di un autocompiacimento della Chiesa; ma in quella domanda ci sarebbe anche un risvolto autocritico, che finora ci si è ben guardati dal sollevare. Nessuno si domanda (almeno, non pubblicamente, come invece facciamo noi qui) se il modello di Chiesa che il Cardinale Pappalardo ha imposto a Palermo ed in Sicilia, piazzando un po’ ovunque i propri fedelissimi, sia effettivamente buono quanto pressoché universalmente si dice.
    Seppellire Puglisi sotto un monumento è stato possibile perché egli è rimasto schiacciato, ma non direttamente dal suo ambiente. Questo non sarà invece più possibile farlo con Naro, per via del chiaro significato dialettico che, ab intra, hanno avuto il suo impegno intellettuale e pastorale e, infine, la sua stessa morte. Che un eventuale processo di beatificazione non potrà non confermare.

    Giampiero.

  5. 16 dicembre 2007 alle 18:51

    Agghiacciante

  6. 17 dicembre 2007 alle 14:54

    Già.

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